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Il Tour sui Pirenei con tanta nostalgia del Giro

Tappa dopo tappa sempre più stridente la differenza di spettacolo

nostro inviato a Montpellier

Viva il Giro. È l’urlo che nessuno riesce a trattenere davanti alla noia di questo Tour monotono e scontato, che per paradosso della storia rischia di entrare negli annali come il più indimenticabile di tutti, essendo il settimo consecutivo vinto dallo stesso umano.
Eppure, nonostante il peso opprimente della leggenda che va profilandosi, nonostante il solo pensare certe cose suoni qui vagamente blasfemo, è ora di liberare questo urlo salutare e sacrosanto, alla faccia dello sciovinismo francese: evviva il nostro Giro. L’ultimo, soprattutto. Qui, dove si ritrova tutta la snobistica aristocrazia del pedale, si vive proprio l’eccitante clima di un circolo del bridge: stessi clamori, stessa imprevedibilità, stessi fuochi d’artificio. Armstrong padrone e capobastone, gli altri a pecora. Hanno dipinto sul volto il premio consolazione: in fondo, si legge nei loro occhi, arrivare dietro Armstrong è già qualcosa.
Finché a inseguire un (altro) podio è il nostro Basso, ci sta bene. Lui è l’unico ad essersi sobbarcato la pesantezza di un Giro d’Italia. Ma gli altri sono imbarazzanti. Sulle strade di Francia stanno circolando eminenti miliardari che da anni – come Armstrong, ma con risultati diversi – preparano solo questa fatica di luglio. Ullrich, Klöden, Vinokourov, Rogers, Mayo, Etxebarria, Heras, Menchov, Botero, Landis, Leipheimer, Beloki: la lista è lunga. Sono quelli che da Natale a fine giugno, e da fine luglio a Natale, non compaiono mai. Sono a preparare il Tour, dicono...
Eccoli tutti qui, quelli che per undici mesi l’anno «sono a preparare il Tour». In fila come suorine, docili e servili sotto il tallone di sua infallibilità Armstrong. Che cosa dovremmo fare, applaudirli e compatirli? Neanche per sogno. Diciamolo a chiare lettere: sono una delusione. E il Tour, di rimando, va definito nello stesso modo. È il campionato del mondo a tappe, è l’appuntamento planetario, è il più di tutto: va bene, ma si può dire che questa edizione rischia seriamente di passare alla storia come una delle più deprimenti? Anche le finali di Champions League, spesso, sono piatte e noiose: che facciamo, non lo diciamo solo perché sono finali?
Mentre orgogliosamente gridiamo viva il Giro, non resta che aggrapparci all’ultima opportunità di montagna: due giorni sui Pirenei, ultima spiaggia a quota duemila, due arrivi in salita che a campioni virili basterebbero per qualunque azzardo. Purtroppo saliamo con un bravo protagonista in meno, quel Valverde bimbo-prodigio di Spagna che ha battuto Armstrong a Courchevel (ginocchio dolorante). Tocca agli altri, a quelli «che stanno sempre preparando il Tour». Vediamo se l’altitudine riesce a scuoterli dalla feroce catalessi. Quanto al vecchio Lance, è più preoccupato del caldo che dei rivali. Gli si chiede pure che cosa farebbe lui, per battere Armstrong. La risposta è una risata: «E che ne so, nessuno mi ha mai insegnato come si fa...

».

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