La tracotanza degli «zero virgola»

Egidio Sterpa

A otto giorni dal risultato elettorale, cerchiamo di ragionare con spirito liberale e col massimo sforzo di obiettività. La campagna elettorale non è stata edificante, diciamolo: parole di troppo, tanti dileggi e insulti. Il massimo lo si è raggiunto con l’accusa di «delinquenza politica» rivolta da Prodi agli avversari, non proprio giustificata dall’uso da parte di Berlusconi del sinonimo poco aggraziato di minchioni. Una cosa è motteggiare, sia pure non leggermente, altro è rivolgere accuse pesanti suscettibili di incriminazione. Si è raggiunto il peggio, più tardi, con la battuta di Diliberto - questa sì di gravoso significato politico - sull’«odore di golpe».
Insomma, tutto c’è stato meno che finezza ed uso della ragione. Come hanno notato Panebianco e Sergio Romano, si è tentato di «liquidare l’Italia del centrodestra come un aggregato di ceti illiberali» e il suo leader come «nemico pubblico» o addirittura un «mentecatto». Quel che sconcerta è la mancanza di stile da parte del candidato del centrosinistra alla premiership, che tutti hanno visto e sentito dire in televisione, con tono assai becero: «Quello lì deve andare a casa». Non c’è dubbio, lo stile è proprio mancato in certi atteggiamenti rancorosi e carichi di spirito vendicativo.
Che Berlusconi, e non solo lui, voglia discutere e verificare un risultato che vede una maggioranza basata sullo zero virgola (0,06, esattamente) non è certo un delitto. Ovviamente saranno poi gli organi istituzionalmente competenti a pronunciarsi definitivamente, e a quel punto, è chiaro, nessuno si sognerà di contestare una maggioranza acclarata, sia pure di un solo voto, come è giusto secondo le regole democratiche. Ma non è stato forse uno sproposito festeggiare in una piazza esagitata, alle 3 del mattino una vittoria solo presunta? A quell’ora, come tutti hanno potuto vedere, l’Unione risultava prevalere alla Camera e non al Senato, e perciò semmai si era in presenza di un pareggio. E non ha contribuito a rendere rovente il clima post elettorale quell’invito, venuto da sinistra, a vigilare sui risultati, facendo così balenare il sospetto di brogli?
Un riconoscimento va a D’Alema, che al contrario di altri della sua parte, ha auspicato un dialogo «per il bene del Paese». Mera formalità? Ma almeno c’è stata. Non ci sono le condizioni né politiche, né culturali (le differenze fra le due parti sono consistenti), ma anche a Berlusconi va riconosciuto di aver tentato un incontro di conciliazione con quella sua proposta di soluzione unitaria. Pure qui la risposta degli avversari è stata quanto meno sproporzionata rispetto allo zero virgola di maggioranza, persino smisuratamente tracotante.
C’è o no mancanza di misura e realismo in taluni atteggiamenti dei vertici del centrosinistra? E le nostre riflessioni sono sì o no serie, lontane peraltro da tenerezze per la parte che responsabilmente e con grande spirito liberale abbiamo scelto? È o non è responsabile chiedere che si smetta con certi toni accesi e sprezzanti non degni di chi si sente legittimato a governare? Sono in gioco, perdinci, i destini del Paese! Chi ritiene di aver vinto mostri almeno ragionevolezza e soprattutto coscienza del peso che si appresta a gestire. Il rischio è di trasformare quella che, stando ai risultati, è una secessione solo virtuale (politica, culturale, geografica) in una spaccatura reale del Paese.
Una divisione c’è indubbiamente, ma sarebbe un’ignominia storica aggravarla fino a renderla effettiva, sostanziale. L’abbiamo scritto coscienziosamente prima che si conoscessero i risultati del voto: è venuto il momento di aprire un capitolo nuovo della nostra storia, bisogna cominciare a pensare in maniera diversa dal passato, entrando nella modernità, facendo diventare quasi preistoria l’ultimo deludente quindicennio, superando odi, rancori, pregiudizi. Se non ne saremo capaci, ne pagheremo le conseguenze tutti. La sinistra che ritiene di aver vinto ne sarà all’altezza?
Non vogliamo neppure tacere doverosi richiami al centrodestra. L’opposizione, a cui bisogna prepararsi coscienziosamente, deve essere l’occasione per irrobustire, tonificare, riqualificare il centrodestra, soprattutto culturalmente. Occorre un impegno prioritario per la creazione di una classe dirigente, come non c’è stato finora.

La differenza, come valori morali e culturali, della Casa delle Libertà, e soprattutto di Forza Italia, dalla sinistra, deve essere più visibile e pregnante. Insomma, rendere ponderale e quasi tangibile la vera identità liberale del centrodestra a fronte della scarsa idealità e del dirigismo del centrosinistra. E per ora basta, ne riparleremo.

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