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La tragedia del nord di Israele: nuova pioggia di razzi su Haifa

Gerusalemme: «L’Iran complice nel rapimento dei due soldati. La loro liberazione è una precondizione per negoziare»

da Gerusalemme

Le sirene lacerano la quiete irreale della sera di Nahariya. Lui corre, si ferma trafelato nel deserto di quel parco pubblico. Urla a moglie e figli di far in fretta, di muovere quelle gambe, di non fermarsi. Il rifugio è a un passo. Loro arrancano, lui si ferma, li spinge dentro. Prima la donna, poi i figli, giù nel buio della scala verso la salvezza. Lui curioso s’attarda un attimo, alza gli occhi, cerca la spada di Damocle nel cielo. Lei in un attimo arriva. «Ero dietro a loro, mi sono fermato a cinque metri di distanza o poco più, ho cercato riparo contro il muro di una casa. Era lì fermo all’entrata, il razzo gli è caduto proprio sopra, l’ha ucciso sul colpo», ricorda Moshe.
È successo ieri sera a Nahariya. Ai bordi del Mediterraneo, venti chilometri a sud del confine, nella cittadina più colpita in questi sei giorni di tempeste d’acciaio sulla Galilea. «La nostra vita è diventata un incubo - raccontava ieri sera dalla stessa Nahariya Yoel Nissimov -, la nostra città ha sofferto i colpi peggiori fra tutte quelle del nord, due di noi sono morti colpiti in pieno dai missili, un altro dei nostri concittadini ha avuto la sfortuna di perder la vita nella strage di Haifa. Qui soffriamo tutti, ci sentiamo abbandonati e indifesi». A Haifa, Kiryat Haim, Carmiel, Maalot, Tiberiade, Safed, Rosh Pina e negli altri centri della Galilea colpiti ieri da una burrasca di almeno ottanta ordigni non va meglio. Alla fine della sesta giornata di terrore, costata la vita al trentenne capofamiglia di Nahariya, gli ospedali della Galilea contavano almeno sessanta nuovi feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.
La raffica di missili piovuta ieri pomeriggio su Haifa non ha risparmiato neppure la delegazione del Likud guidata da Benjamin Netanyahu che si è ritrovata costretta a cercar riparo nei rifugi. Uno dei missili ha centrato nuovamente la zona del deposito ferroviario dove domenica un altro ordigno ha fatto strage d’operai. «Stavolta ci siamo infilati nel rifugio subito dopo la sirena d’allarme e nello stesso momento un missile ha nuovamente oltrepassato il tetto dell’edificio esplodendo all’interno dello stesso hangar», ha raccontato Yitzhak Farid, un responsabile dell’officina ferroviaria.
In tutto questo la popolazione del nord d’Israele stringe i denti e resiste, ma incomincia a chiedersi quanto a lungo dovrà sopravvivere nei rifugi. Quanto a lungo dovrà attendere prima di tornare alla vita normale. A sentire i militari responsabili delle operazioni in Libano la situazione è meno grave del previsto, anche se ci vorranno settimane prima di arrivare a una soluzione definitiva. «Finora, toccando ferro, abbiamo notato una diminuzione dei lanci, abbiamo colpito una larga parte dei loro arsenali ma per metterli a tacere definitivamente avremo bisogno di almeno altre tre o quattro settimane» riferiva ieri sera il generale Udi Adam, comandante del settore settentrionale.
L’ottimismo del generale è di poca consolazione per chi come Nuriel Trigobof e la sua famiglia deve la vita al cemento armato della stanza di sicurezza del condominio. «Ho sentito i missili arrivare, uno è esploso dall’altra parte del muro, la stanza ha tremato e per un attimo la casa è sembrata crollare. Quando sono uscito ho contato tre colpi esplosi tutt’attorno e due edifici danneggiati». Malka Algabli, ritrovatasi in mezzo alle esplosioni mentre guidava nel deserto di Nahariya, racconta di aver visto tutta la vita scorrergli davanti. «Pensavo ai bimbi, ai genitori, a mio marito, ero terrorizzata, ma non abbiamo scelta. Quella gente in Libano deve capire che qui ci sono un governo e un esercito capace di difenderci, che qui nessuno si tirerà indietro».
Secondo un sondaggio di Yedioth Ahronoth, il più diffuso quotidiano del Paese, la maggior parte della popolazione israeliana sostiene l’azione del governo di Ehud Olmert e ritiene che i bombardamenti debbano continuare.

Tra gli abitanti del nord il 59 per cento continua a dire di ritenersi al sicuro e la percentuale dei sostenitori dell’azione del governo sale all’88 per cento.

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