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Il tramonto del sovrano Thai che ha regnato con 15 golpe

La democrazia sono io. Re Bhumibol Adulyadej non l’ha mai detto, ma l’ha sempre fatto capire. E per 64 anni ha governato ordinando sottovoce. Stavolta, invece, il re venerato come un Dio tace. E Bangkok trema. Stavolta il sovrano famoso per aver più volte salvato il Paese con un «flatus vocis» non fiata. E non solo perché ha 82 anni e giace in un letto d’ospedale ma anche perché, sussurrano a Bangkok, ha ben poco da dire. Perché un suo intervento suonerebbe come la stonata autodifesa di un sistema alle corde. Lo scontro all’ultimo sangue tra le camicie rosse e i militari sembra dunque il simbolo dell’agonia fisica, morale e politica di un re considerato l’eterno salvatore della patria. Un re rimasto sul trono più a lungo di qualsiasi suo omologo in vita. Un re capace di digerire in 64 anni 15 colpi di Stato, 16 Costituzioni e 27 premier. Il tutto, dicono, mettendo da parte il tesoro più cospicuo fra quelli attribuiti ad una dinastia in carica. Un gruzzolo stimato in 26 miliardi di euro, ma di cui in verità nessuno conosce la reale entità perché i suoi amministratori rispondono non al governo, ma a re Bhumibol in persona. Eppure questo signore su cui oppositori e nemici preferiscono tacere - visti i 15 anni di carcere comminabili a chi venga accusato di lesa maestà - è il vero demiurgo della democrazia alla thailandese. Una democrazia considerata fra le più evolute del sud-est asiatico, ma modellata a immagine e somiglianza di un monarca tanto illuminato quanto potente.
Tutto inizia in una notte del 1946, quando un misterioso colpo d’arma da fuoco sparato tra le mura del palazzo reale fa saltare le cervella al fratello maggiore di re Bhumibol. L’allora principe abbandona l’amata Losanna dove ha studiato e torna in patria. Il suo ruolo dovrebbe esser poco più che cerimoniale e non interferire con quello dei generali in lizza per il potere. Il nuovo sovrano dimostra ben presto, invece, le sue doti di signore discreto, intelligente e, a suo modo, spregiudicato. Nel 1956, dopo un colpo di Stato dalle sorti incerte, non esita a dare il suo appoggio al generale golpista ottenendo in cambio una Costituzione che gli garantirà ruoli e prerogative assai più ampie. Negli anni Settanta si costruisce la fama di monarca illuminato aprendo le porte del palazzo ai contestatori universitari braccati dai militari, ma avalla nel contempo la spietata repressione dell’insurrezione comunista nel sud.
Il suo capolavoro di demiurgo lo compie scegliendosi come alter ego il potente generale Prem Tinsulanond, nominato primo ministro nel 1980. Salvato per due volte dai carri armati avversari dall’intervento del re il generale Prem diventa, una volta abbandonata la politica, il presidente del consiglio della Corona. Con quella nomina nasce l’élite di potere che garantirà a re Bhumibol il sostegno delle due più importanti caste, i militari e i magistrati.
Nei successivi 25 anni tutto ruota a misura di sovrano. Grazie al fido Prem - sempre al lavoro per distribuire cariche e potere ai suoi fedelissimi ex ufficiali - e a una magistratura infallibile nel condannare per lesa maestà o altri reati chiunque ostacoli la silenziosa volontà reale - la democrazia del sorriso regna indisturbata. A romper le uova nel paniere arriva il miliardario fuori dagli schemi Thaksin Shinawatra. Quel premier convinto, solo per aver vinto le elezioni, di poter governare a proprio piacimento consolida il proprio consenso garantendo sviluppo e assistenza sanitaria ai diseredati delle campagne. Ma per riuscirci mette mano agli ingenti fondi controllati fino a quel momento dall’élite del potere. A Palazzo sono convinti di poter risolvere il problema Thaksin alla vecchia maniera. A metà settembre del 2006 mentre il sovrano è sotto anestesia per un’operazione alla schiena il fido Prem gli regala un colpo di Stato e si sbarazza dell’ingestibile premier. I giudici chiudono l’operazione condannando Thaksin per corruzione e costringendolo all’esilio.
Da lì nasce nascono la rivolta delle camicie rosse e la rabbia di quelle campagne che continuano a considerare Thaksin il loro salvatore. E il sovrano anziano e malato per la prima volta tace.

Il sistema ha all’improvviso fatto cilecca, ma lui non ha più né una parola magica, né una vita di scorta.

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