La tranquillità dell'anima beata: ascesa nel paradiso di Bosch

I dipinti, risalenti all'inizio del XVI secolo, sono rimasti nascosti al pubblico troppo a lungo

La tranquillità dell'anima beata: ascesa nel paradiso di Bosch

A Venezia, a Palazzo Grimani, fino al 20 marzo 2011 sono esposti dieci dipinti poco noti e commissionati a Bosch tra il 1500 e il 1510 proprio da Domenico Grimani per il suo palazzo in Campo Santa Maria Formosa, e poi lasciati per testamento a Palazzo Ducale. Pubblichiamo il testo introduttivo del catalogo della mostra, edito da Skira.

Benché tristemente contrastato dalla Corte dei Conti, tornando a Venezia, nel rinnovato incarico di Sovrintendente dei musei statali, ho voluto tener fede alla promessa di rianimare e far rivivere Palazzo Grimani. Dopo la fortunata mostra dei dipinti veneziani di Giorgione che (soddisfacendo ad abundantiam lo spirito di controllo e incremento dei conti della Corte) hanno consentito di aumentare le presenze di visitatori da 500 all’anno a 500 al giorno, ecco allora la mostra dei dipinti veneziani di Hieronimus Bosch. E se la presenza della Tempesta di Giorgione nel mirabile spazio della tribuna perfezionava l’allestimento calibrato nel camerino delle anticaglie di Gabriele Vendramin, la sistemazione dei Bosch in Palazzo Grimani ha l’ulteriore suggestione di un ritorno. Infatti tutte le opere esposte in questa occasione in Palazzo Grimani erano nella collezione di Domenico Grimani dove le vide Marcantonio Michiel già nel 1521, negli anni in cui perlustrava palazzi e collezioni scoprendo quadri sulla collocazione dei quali ci dà le preziose indicazioni note. Scrivendo nel 1525, Michiel è quasi un testimone diretto, e i quadri più notevoli che vede sono proprio quelli, già preziosi e rari, di Giorgione e Bosch.
Si tratta di veri e propri incunabili dell’arte moderna, e per di più concepiti negli stessi anni, tra il 1500 e il 1510, in quel decennio in cui si compie una vera e propria rivoluzione pittorica attraverso la visione dei due grandi artisti. Ed è proprio con loro che nasce uno spazio nuovo, travolgente. Delle quattro tavole più antiche, quella del Paradiso terrestre, l’Ascesa all’empireo, la Caduta dei dannati, l’Inferno, ci colpisce la novità della concezione dello spazio, la luce dietro le montagne, la riduzione degli uomini a parti non prevalenti della natura, come nello spirito della Tempesta di Giorgione, di cui il Paradiso terrestre di Bosch appare una variazione, se non una anticipazione. Ma Bosch è sorprendente nella tavola con la Caduta dei dannati, le cui fisionomie sembrano precludere ogni traccia di spiritualità: gli uomini sono cose, bruciati più dall’ombra che dal fuoco. Nelle allegorie, dopo la felicità del Paradiso terrestre, vi è l’Ascesa all’empireo con il vortice di luce che sembra attrarre, nella loro elevazione, le anime beate, pur conoscendo Iddio il loro destino e avendole collocate nella sfera celeste (qui in forma di spirale di luce) nel luogo stabilito dalla sua mente imprescrutabile. È quello che ci racconta Piccarda Donati nel terzo canto del Paradiso. Ma Bosch ce lo fa vedere. Il suo è uno spazio di luce che fora l’ombra o che l’attraversa. Siamo in apertura di secolo, tra 1500 e 1503.
Nel successivo trittico di Santa Liberata, lo scomparto centrale, con la santa crocefissa contro il paesaggio, appare più convenzionale (benché opportunamente grottesco nei gruppi dei curiosi). La novità di Bosch si manifesta soprattutto negli scomparti laterali, con il Sant’Antonio, i viandanti e il porto. Inutile dire che l’apertura sul paesaggio, in queste dimensioni, è assolutamente inedita. Se poi abbia anche un significato simbolico o esoterico, è questione che va oltre l’immediatezza della seduzione visiva, del sentimento della minorità dell’uomo, che è dominato dalla natura, che il suo sguardo domina. Luce e buio, bene e male, notte e giorno si dividono nelle due visioni laterali, veri e propri idilli, mentre la martire crocefissa del pannello centrale è circondata da una umanità grottesca e distratta.
Grandioso e sorprendente è poi il trittico degli Eremiti. La varietà e la curiosità, il capriccio, le invenzioni sorprendenti nella maturità compositiva che si riconosce nel terzo periodo, verso il 1510, documentano una sfrenatezza d’invenzione che pone Bosch agli antipodi dell’ordine del mondo indicato nella pittura italiana del Rinascimento, la natura del San Gerolamo rispetto alla natura della Tempesta. Così come, sul piano iconografico, il San Gerolamo nel suo romitorio è agli antipodi del San Gerolamo dello studio di Antonello. Eppure la realtà, qui, come nel San’Antonio e nel Sant’Egidio, è vasta, sconfinata, avvolgente, ed è ricca di mille curiosità, di sorprese, di incubi, di sogni, di visioni. Riunire i Bosch veneziani in un solo palazzo, e della stessa famiglia cui i dipinti appartennero, è un’occasione unica, emozionante, e per certi versi commovente.

Impresa insieme facile e rara, il cui obiettivo è mettere nella migliore evidenza il patrimonio artistico dei musei di Venezia favorendone la conoscenza e il godimento nelle condizioni migliori. Con piena soddisfazione e buona pace della Corte dei Conti.

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