Tre anni alla mercè dell'ex marito

Sono una donna musulmana di origine berbera, nata in Marocco, che vive in Italia dal 1994. Mi ero sposata a 14 anni in Marocco, un matrimonio combinato dalle famiglie che non mi aveva permesso di conoscere il mio futuro marito.

Ben presto mi accorsi che si trattava di un uomo violento e mi trovai in Italia, in una situazione complicatissima per il fatto che non parlavo italiano e quello che allora era ancora mio marito mi impediva di avere normali rapporti sociali con altre persone.

Riuscii, rischiando tantissimo, dopo parecchi anni di pene a denunciarlo per le violenza subite e ad ottenere la separazione, in attesa del divorzio (che poi è giunto grazie alla legge marocchina, più veloce in queste faccende). Essendomi allontanata con le mie due figlie ed un figlio, avevo la necessità impellente di mantenerli ed i servizi sociali mi aiutarono per un anno, non avendo io un lavoro e cercando di arrangiarmi con l'aiuto di mio padre e qualche buon italiano. Dopo un anno una sentenza obbligava il mio ormai ex marito, titolare di una azienda ben avviata, a pagare il mantenimento dei figli e mi consentiva di tornare a vivere in una casa di proprietà di lui, perché egli proprietario di una seconda casa. A questo punto il mio ex marito ha chiesto ed ottenuto l'aiuto di un fratello; aiuto che consisteva nel distruggere la casa, renderla inabitabile, togliere i mobili e gli effetti miei e dei figli, come attestato dai carabinieri di Trino Vercellese. Allo stesso tempo egli ha chiuso l'azienda e la ha venduta ai fratelli. Il sospetto che il mio ex marito continui a lavorare e a fare dei commerci in Marocco è dato dal fatto che riesce a mantenere una seconda moglie in Marocco ed un figlio, oltre al fatto che lo si vede girare con l'auto dell'azienda. I documenti che ho consegnato al mio avvocato attestano che in Marocco il suddetto è proprietario di numerosi terreni e di un'altra casa.

Sono passati tre anni e se non fosse stato per l'aiuto ricevuto da mio padre e da brave persone italiane, e per il fatto di essermi, tra mille fatiche, sempre riuscita ad arrangiare, le mie figlie non avrebbero potuto avere il necessario per vivere e crescere.

Pensavo che nella mia situazione la giustizia italiana valutasse la tempestività dell'intervento come un elemento decisivo per far valere i miei diritti e soprattutto quelli dei figli. Ho maturato il sospetto che le lentezze burocratiche e l'inadeguatezza delle norme e dei controlli hanno reso l'esercizio della mia libertà in quanto donna separata, dei diritti miei e dei figli, impraticabili.

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