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Tre giorni a testa in giù appeso all’albero: salvo

da Firenze

Starsene tre giorni e tre notti a testa in giù appeso a un albero, una gamba stretta da un laccio che morde il muscolo, trattenuto da una fettuccia di nylon larga due centimetri. Chissà cosa ha pensato e come ha passato il tempo Antonio Montagno, 47 anni, microbiologo di origini catanesi che lavora all’ospedale di Figline Valdarno (Firenze), caduto dopo poche centinaia di metri dal punto in cui giovedì scorso era decollato con il suo parapendio.
Ora Montagno si trova nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Careggi, con sua moglie che lo assiste, i suoi due gemellini di quasi cinque anni che lo aspettano e con suo fratello Salvatore, 45 anni, che sta pensando seriamente di dirgli «sarà l'ora che la smetti». Per Montagno è il terzo incidente: con il deltaplano si era già fratturato un femore e schiacciata una vertebra.
Quando Stefano Renaldelli, l’esperto di soccorso alpino che l’ha raggiunto per primo, l’ha visto ha pensato che avesse un femore rotto, tanto era gonfia la gamba destra. Invece era colpa del laccio che la stringeva, facendogli rischiare la necrosi dei tessuti. Montagno era in ipotermia, disidratato, ma vivo. Tre giorni e tre notti: tanto sono durate le ricerche. Giovedì Montagno e due suoi amici decidono di fare volo a vela e vanno su Monte Mignaio. Lui con il parapendio, l’amico con un deltaplano. Il terzo a terra, a coordinare le operazioni di volo. C’è vento forte, le condizioni meteo non sono ottimali ma chi vola a vela sa che il vento è amico. Parte il deltaplanista. Atterra. Aspetta Antonio. Intanto il vento rinforza e Antonio non scende. Scatta l’allarme. Cominciano subito le ricerche: si alza in volo l’elicottero dei Vigili del fuoco, quello dell’Antincendio, quello della Regione. A terra squadre dei cinofili, volontari del Soccorso alpino. Antonio non si trova. E intanto si alza la nebbia. Passano tre giorni e le speranze diventano sottili. Antonio è appeso a un faggio di 30 metri a testa in giù. Domenica mattina finalmente la nebbia si dissolve, arriva il sole e l’ elicottero della Forestale avvista un telone bianco e rosso. Antonio Montagno è vivo: nessuno parla di miracoli, tutti lo pensano. Renaldelli si arrampica fino a trovarsi faccia a faccia con Montagno. Lui mormora frasi sconnesse, poi dice: «Antonio, senti male?», «ora no - risponde lui -. Mi tiri giù di qui vero?».
Al pronto soccorso la diagnosi è certa: sindrome compartimentale alla gamba destra, conseguenza della compressione e della mancata irrorazione sanguigna, ipotermia, disidratazione, stato di choc.
Viene operato, è in rianimazione, ma è vivo.

Per tirare un definitivo sospiro di sollievo si dovrà aspettare: «Se è riuscito a sopravvivere in quelle condizioni potrebbe forse avere una buona prognosi - ha detto il maggiore Francesco Torchia, esperto di medicina aerospaziale dell’Aeronautica Militare -, ma c'è il rischio di un'emorragia cerebrale».

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