Intanto quel Renato Zero lì, il personaggio pubblico, lo conoscono tutti e se ne parla ogni due minuti da trent’anni, spesso pure a sproposito. Ma il cantante, quello meno, talvolta sembra semplicemente una pertinenza dell’uomo famoso che faceva tremare i benpensanti e che la Rai voleva cacciare a calci. E invece no. Renato Zero è un signor cantante, uno che sulla scia di Marc Bolan e persino Alice Cooper, sminuzzandone i grevi riflessi rock con la leggiadria fantasiosa del teatro kabuki, ha creato una maschera che è tutt’uno con la voce, talvolta baritonale, spesso melodrammatica come le autentiche maschere italiane. E mentre tutti lo tirano per la giacchetta, gli chiedono quasi implorando battute, esternazioni quantunquemente scandalose, il vero Renato Zero si impacchetta nei tre nuovissimi dvd di Sei Zero, un’ottantina di canzoni che imperlano gli otto concerti dell’anno scorso (centomila spettatori, per dire). A omaggiare il neosessantenne in Piazza di Siena è arrivata la più grande e imprevedibile processione di artisti che il concerto di un solista ricordi, da Rita Pavone a Monica Guerritore e Raffaella Carrà, tutti uno dopo l’altro riportandogli un pezzettino di ricordi.
Non sarà mica stata, caro Renato Zero, una mossa plateale per dare l’addio alle scene?
«Ma no.L’ho già detto e lo ripeto: mi sono messo in cassa “integrazione voluta”. Quei concerti sono stati il culmine della carriera e adesso mi riprendo».
C’era chiunque.
«Sono riuscito persino a “stanare” Rita Pavone e convincerla a cantare con me Mi vendo».
C’era anche Bocelli.
«E mi sono commosso. In fondo l’ho battezzato io a Bussoladomani. Ma tutti, dagli Avion Travel a Gigi D’Alessio e Lucio Dalla hanno portato un tocco di stupore in più ai miei brani. Poi certo, un bel po’ di grazie li devo a Roberto Cenci, che è figlio di un grande musicista e quindi ha filmato tutto con passione per il ritmo e la musica».
I cantanti si riuniscono solo per queste occasioni. Ma quando c’è da protestare e fare «squadra» chi li vede più. Gli attori invece.
«Dice che non se famo sentì? In realtà gli attori sono abituati ad avere dei limiti, non solo fisici come i camerini, ma anche d’azione, come le direttive del regista, del coreografo, degli scenografi. Sono tenuti a stecchetto. Noi no, noi semo liberi».
Talvolta troppo.
«Beh, qualche cantante appena vende qualche copia in più, sparisce. Io no. Ma la colpa è spesso digente che prima faceva il parrucchiere e poi si è improvvisata
manager».
Lieve allusione a Lele Mora. Non avete mai lavorato insieme?
«Macché, io all’inizio della mia carriera ero una sorta di sorcio da studiare, da vivisezionare. Nessuno si avvicinava. Era una sfortuna che poi si è rivelata fortuna: ho evitato tante presenze maleodoranti accanto a me».
Renato Zero ha fatto la gavetta, lo sanno tutti.
«E io auguro ai giovani che vogliono diventare artisti di prepararsi al dolore, al sacrificio e alle rinunce. Se non li vogliono, meglio che vadano a timbrare dignitosamente un cartellino. Ma certo, dopo la stanchezza che ho provato io ai miei esordi, tutto quello è venuto dopo sono state rose».
Forse per questo lei è forse il cantante più trasversale che c’è. Ci sono sorcini dappertutto. Anche Marco Travaglio è un sorcino.
«Mi incuriosisce la sua anatomia. Mescola nel tegame, ficca il naso dappertutto».
Appena può anche ai suoi concerti.
«Questi qui che ho fatto in piazza di Siena li ho dedicati agli ultimi scettici, e parlo in generale. In fondo, chi è scettico con me, lo è con l’umanità intera».
Una volta era più facile essere scettici con lei.
Adesso meno.
Sembra.
«D’altronde dopo il can can che ho fatto, qualcosa sono riuscito a cambiare anche io, nel mio piccolo».
Oggi sarebbe possibile lo stesso?
«Siamo così frantumati, così divisi».
Magari potrebbe andare a fare un altro show in tv. Ne ha fatto uno a cinquant’anni. Magari a 60 fa il bis.
«Ne ho sempre meno voglia. Io ormai ho la pace dei sensi. O dei sessi».
Non scherzi.
«Non ne ho voglia perché mai e poi mai vorrei essere confuso con certi salotti cretini che vendono il nulla».
Se si pensa che trent’anni fa dalla tv volevano
«E invece adesso se tornasse Alberto Manzi (il conduttore del programma Rai degli anni ’60 contro l’analfabetismo - ndr.) saremmo tutti più felici, altro che tutta questa immondizia in tv».
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