Tremonti aizza la Lega contro Berlusconi

RomaSul caso Libia il governo sta tutto il giorno sulle montagne russe. Alla fine a sbandare sembra il Carroccio. Ma soprattutto volano coltelli e sospetti. Uno su tutti: nella battaglia Lega-Pdl che ruolo ha Tremonti? Si rincorrono le voci: è lui l’ispiratore dell’ira del Carroccio? C’è lui dietro quel titolo della Padania? La tesi ha il suo perché. Primo: una vendetta del superministro dell’Economia, uno degli sconfitti dall’esito del vertice tra Berlusconi e Sarkozy. Secondo: la tesi bossiana che le missioni costano un sacco di soldi e quindi non vanno bene è farina del suo sacco. Terzo: Tremonti è considerato a tutti gli effetti uomo della Lega. Quarto: il ministro dell’Economia sa di non essere amato da suoi colleghi a causa del machete utilizzato sulle spese dei dicasteri. Nella giornata del grande scontro con il Carroccio, è lui l’osservato speciale in Transatlantico. È lui che rappresenta il ribelle assente, ossia Bossi. E c’è chi pronto a giurare che dietro l’ultimo scontro tra Umberto e Silvio ci sia proprio lui, Tremonti.
Uno scontro aspro, isterico, a vedere il Carroccio. Sì perché la mattina s’è aperta con un sonoro schiaffo al premier dato dalla Padania, quotidiano della Lega. Un titolo che riporta tutta l’ira del Senatùr - e presumibilmente di Tremonti - nei confronti del Cavaliere: «Berlusconi si inginocchia a Parigi». Il fondo riporta le rasoiate di Bossi (e di Tremonti) all’alleato: «Siamo diventati una colonia francese»; «Berlusconi pensava che dicendo sì a tutto potesse acquisire nuovo peso internazionale»; «Ha fatto fare la figura dei cioccolatai a Tremonti e Maroni». Parole di fuoco, capaci di provocare un clamoroso incendio nella maggioranza e quindi nel governo. Fino a che punto l’ira del Senatùr potrebbe costare caro al governo resta un mistero. Sondare i leghisti in momenti cruciali come questo è sforzo vano. «Decide il capo», ripetono in Transatlantico quelli del Carroccio chiusi a riccio. Sta di fatto che nel primo pomeriggio, quando i ministri La Russa e Frattini riferiscono alle commissioni Difesa ed Esteri di Camera e Senato, il capogruppo leghista di Montecitorio Marco Reguzzoni sembra spegnere il falò nella maggioranza: «La posizione della Lega è chiara e coerente con quanto deciso dal Parlamento. Noi siamo nel governo e nella maggioranza - dice - si mettano l’anima in pace quelli che sperano in una crisi di governo».
Tirano un sospiro di sollievo un po’ tutti i pidiellini. I più ottimisti derubricano le sparate di Bossi ad esigenze elettorali: «Ci sono le elezioni amministrative ed è logico che abbiano l’esigenza di smarcarsi da noi». Ma l’orizzonte è fosco. Sulla testa dell’alleanza Lega-Pdl incombe la spada di Damocle della mozione già depositata a Montecitorio da Di Pietro: «Chiediamo al governo di presentare al Parlamento un documento programmatico che consenta di fare chiarezza sul caso Libia». In pratica la richiesta di un voto in Aula per rendere evidente la spaccatura della maggioranza.
Ma le parole di Reguzzoni sembrano rassicuranti così il ministro della Difesa La Russa può tirare dritto: «I velivoli e gli equipaggi sono già pronti e saranno subito messi a disposizione della Nato per essere impiegati nei bombardamenti mirati sulla Libia», dice. Più o meno nello stesso istante Berlusconi volava assieme al ministro Calderoli verso Roma dopo aver partecipato al funerale dell’industriale Pietro Ferrero ad Alba, in Piemonte. A mezza bocca i leghisti commentavano che sì, si sarebbe trovata la quadra. Le diplomazie erano al lavoro a mille metri di quota.
Restava da capire come e quando la maggioranza avrebbe disinnescato la mina del voto sulla politica estera. A questo proposito sia il pidiellino Cicchitto che il leghista Reguzzoni cercavano di trovare la formula giusta per trovare un testo condiviso che non palesasse un dietrofront per nessuno dei due. Ma un Reguzzoni nervoso che accendeva una sigaretta via l’altra nel cortile della Camera è stato il presagio dell’ulteriore giravolta del Carroccio. Da Milano il ministro Maroni ha infatti gettato altra benzina sul fuoco tutt’altro che sopito: «Ho parlato con Bossi: la linea non cambia, ed è quella riportata dalla Padania». Ma, forse peggio, apriva alla possibilità di una pericolosa conta in Aula: «Mi sembra inevitabile che ci sia un passaggio parlamentare su una cosa così rilevante. Lo chiede l’opposizione e noi non siamo contrari». Poi l’affondo: «Non stiamo lì a schiacciare pulsanti. Non si può dire alla Lega di dire sempre sì». Un putiferio. A metterci il carico da novanta l’eurodeputato Borghezio: «Il Cavaliere non c’è più» e il fatto che il Senatùr non s’è fatto trovare dal Cavaliere che cercava invano di parlargli.
A ricalibrare il tiro, lo stesso Maroni qualche ora dopo: «Sulla questione immigrazione l’intesa con la Francia è stata una nostra vittoria. Parigi poteva sospendere il trattato di Schengen e invece non l’ha fatto». Toni più concilianti seppur limitati al tema immigrazione. Di certo l’ennesima capriola del Carroccio.

Osvaldo Napoli sintetizzava una giornata frenetica così: «Abbiamo ascoltato Reguzzoni; abbiamo letto Maroni: ora attendiamo la sintesi di Bossi». Ma di fatto nella maggioranza c’è mare grosso. E nell’occhio del ciclone c’è lui: Tremonti.

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