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Tremonti gela D’Alema: "Ha tradito Marx senza neppure capirlo"

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Milano - Se Carlo Marx si è mai ribaltato nella tomba, ieri deve aver deciso di vendicarsi prestando la voce a Giulio Tremonti. Potenza del «ribaltamento culturale» di cui parla il ministro dell’Economia, forse, fatto sta che gli manca la barba bianca. Massimo D’Alema ironizza sulla sua analisi del collasso della finanza globale infilando un acido «seppure in bocca a Tremonti, Carlo Marx resta Carlo Marx»? Alla festa del Pdl a Milano Tremonti riesce a sfoderare un sorriso più sprezzante di quello di baffino, e dice: «Il problema non è chi ha letto Marx, ma chi non lo ha capito. Peggio: chi lo ha tradito senza aver neanche capito che lo tradiva».

Che poi. Sarà pure antipatico dire «io l’avevo detto», e Tremonti ammette che «preferirei avere sbagliato qualche previsione e adesso avere qualche responsabilità di governo in meno», ma tant’è, lui sono 13 anni che avverte se non il mondo almeno l’Italia, da «Il fantasma della povertà» pubblicato nel ’95 a «La paura e la speranza» del 2007. Adesso che aveva ragione lui, perde l’aplomb pensando «ai cretini che dicono che questa è come la crisi del ’29, ma fino a un mese fa dicevano che andava tutto bene». Anche perché qui non è questione di ideologia, scandisce: «La nostra ideologia è non avere ideologie».

Il fallimento di un sistema basato sul «denaro che magicamente produce denaro» secondo Tremonti «non è la fine del mondo, ma di un mondo». La crisi, dice, forse «è solo alla fine del principio», ma «finirà». Dopo, «il mondo sarà diverso: più basato sul lavoro e meno sul debito, più sulla manifattura e meno sulla finanza». È l’economia sociale di mercato la ricetta, quella «scritta da decenni nelle tesi del Ppe»: trattasi di «tornare al diritto», ai «valori etici». E giù un’altra stoccata a chi paventa l’intrusione oltre il limite dello Stato nel mercato: «Per ora, se mai, il problema è salvare il mercato con lo Stato», come da indicazioni del G4 a Parigi.

Alla festa del Pdl Tremonti viene accolto da applausi che sono ovazioni e da un tributo di interminabili «Grazie Giulio». Per attraversarla tutta chiede all’autista di lasciarlo all’ingresso principale e non a quello riservato agli ospiti, subito abbracciato da un Ignazio La Russa determinato a dimostrare che no, non ci sono nemici qui, né polemiche fra gli ex di An e di Fi nel Pdl. Il ministro della Difesa ha diabolicamente schierato plotoni di fotografi ogni tre passi, e ogni tre passi si ferma per la foto di gruppo. Tremonti ha le lacrime agli occhi dal ridere, «geniale», commenta.

Al popolo della libertà dice: «L’Italia è sempre stata e resta di centrodestra», e ha un bell’affannarsi la sinistra a contrastare un governo «forte di un consenso ben oltre quello elettorale, che si muove in una logica di interesse generale e non particolare», ha risolto «la crisi Alitalia senza un’ora di sciopero» e ha varato il federalismo fiscale, «uno dei passaggi strategici per risanare il Paese». La sinistra, avverte Tremonti, ha perso «il monopolio della cultura, non ha più un software di idee accettabile e vendibile, e l’hardware senza il sofwtare è un ferro vecchio».

Così, sarebbero almeno gradite, infierisce, le scuse di tal Vincenzo Visco, che però Tremonti non nomina, l’inventore dell’Irap: «Solo un demente poteva inventarla.

Per togliere un macigno dalla strada ci vuole tempo. Il problema però è chi ha buttato il macigno. Qualcuno che dica che l’ha inventata non si è ancora trovato, ma noi lo sappiamo e lo sanno anche loro, perché non l’hanno ricandidato. Lui dovrebbe chiedere scusa».

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