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Tremonti: "Non ho bisogno di rubare soldi"

Il ministro dell'Economia ammette: "Ho commesso illeciti? Per quanto mi riguarda, sicuramente no. Ho fatto errori? Sì, certamente". Ma nell'uso della casa di Milanese assicura di non aver commesso nessuna irregolarità, ma di averlo fatto perché si sentiva "pedinato e spiato"

Tremonti: "Non ho bisogno di rubare soldi"

Roma - "Ho commesso illeciti? Per quanto mi riguarda, sicuramente no. Ho fatto errori? Sì, certamente". E' il giorno della difesa. Il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, rompe gli indugi e passa al contrattacco respingendo tutte le accuse che nei giorni scorsi gli sono piovute addosso dall'inchiesta sulla P4. Lo fa con una lettera di risposta al Corriere della sera e con una doppi aintervista a Uno Mattina e a Repubblica. Al centro del dibattito l'accordo che aveva stipulato con Marco Milanese per l'utilizzo dell'appartamento di Roma che il deputato Pdl metteva a sua disposizione. "Se qualcosa posso rimproverarmi, vi è il fatto di non aver lasciato prima l'immobile - ha spiegato il titolare dell'Economia - l'ho fatto in buona fede, ma sarebbe stato senza dubbio più opportuno, dato che proprio questo è ora causa di speculazioni che avrei potuto e dovuto evitare. Con il senno di poi, ripeto, ho sbagliato". Eppure, ha spiegato Tremonti, accettare la casa di via Campo Marzio è stata "una stupidata" fatta però per l’impressione di "spiato e pedinato".

Respinta ogni accusa dei pm "Io prima di fare il ministro dichiaravo al fisco 5 milioni, 10 miliardi di vecchie lire all’anno - ha continuato il titolare dell'Economia - devo dire che do in beneficenza più di quanto prendo come parlamentare. Non ho bisogno avere illeciti favori, di fregare i soldi agli italiani. Non ho casa a Roma non me ne frega niente, non faccio vita di salotti". "Forse avrei dovuto essere più attento, ma se devi lavorare in quento modo - ha affermato Tremonti - gestire il terzo debito ti impegna abbastanza. Ma se ci sono stati illeciti la magistratura procederà. Se ci sono stati appalti commissariamo tutto, abbiamo già commissariato una società e lo rifaremo se serve".

L'uso della casa di Milanese Nell'uso della casa di Milanese il ministro non ha commesso "nessun 'nero' e nessuna 'irregolarità'. Trattandosi di questo tipo di rapporto tra privati cittadini non era infatti dovuta l'emissione di fattura o vietata la forma di pagamento". "Come settimanalmente disponevo del contante?", prosegue Tremonti. "Dal 2001 prima, e poi dal 2008 - spiega - ricevo in contanti, in modo perfettamente lecito ed ufficialmente registrato, il mio compenso da ministro, pari a circa 2.390 euro al mese. Rispetto ai 'circa 4.000 euro' mensili, la differenza risulta così pari a circa 400 euro a settimana, a circa 1.600 euro al mese. Inspiegabile, impossibile, come facevo a disporne? Nel 2008, sul 2007, ho dichiarato, tanto al fisco quanto in Parlamento, un reddito annuale molto elevato. Come nei tanti anni precedenti". "E' così che - continua il ministro - pur avendo ora interrotto l'attività professionale, ho accumulato titolarità di altri redditi. È tutto tracciato e tracciabile. Anche per questo e per onestà e stile di vita non ho mai avuto bisogno di cercare ed avere benefici impropri di nessun tipo. Anche per questo ogni anno posso fare in modo di dare o devolvere in beneficenza l'equivalente di quanto mi viene corrisposto come indennità parlamentare".

L'accordo con Milanese "E' vero quanto ufficialmente in atti: in contropartita della disponibilità" della casa di Milanese "basata su di un accordo verbale revocabile a richiesta, come appunto poi è stato, ho convenuto lo specifico conteggio di una somma a titolo di contributo, pagata via via per ciascuna settimana e calcolata in base alla mia tariffa giornaliera di ospitalità alberghiera", continua il titolare del dicastero di via XX Settembre. "Come facevo prima e come ora appunto faccio ogni settimana in albergo - conclude Tremonti - solo che all'inizio avevo pensato ad un diverso contratto, che ho poi subito escluso, per ragioni personali.

Mi ritorna ora nella forma di una paradossale ironia, ma la ragione del tutto non era di convenienza economica, ma di privacy".

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