Almeno per una volta, Giulio Tremonti lascia da parte le ricorrenti metafore sulla crisi. Davanti alla platea dei giovani imprenditori di Confcommercio, a Venezia, il ministro dellEconomia sceglie invece parole secche, per quella che suona come una confessione: «Abbiamo vissuto nel secondo weekend di maggio una coppia di giornate oggettivamente drammatiche. Adesso i colleghi ammettono, abbiamo avuto paura. Posso ammettere di avere condiviso quel sentimento». Erano, quelli, i giorni della bancarotta greca, dellavvitarsi su se stessi dei mercati, con i credit default swap (i contratti di assicurazione contro linsolvenza) schizzati a livelli insostenibili: una situazione da pre-catastrofe che convinse i ministri di Eurolandia ad abbandonare ogni indugio, nonostante le riserve della Germania, e a intervenire per salvare Atene. In gioco, precisa Tremonti, non cera soltanto la sopravvivenza delleuro: «La paura non era per la fine delleuro, ma per il rischio del collasso dellEuropa per come la conosciamo».
Quei momenti terribili sono però serviti anche a ricompattare la squadra europea, con la messa a punto di una sorta di cordone sanitario che ha quattro punti cardinali: «Un diverso e più forte ruolo per la Banca centrale europea rispetto a prima della crisi; la creazione di un fondo europeo di difesa; la riforma del patto di stabilità e crescita; una nuova disciplina interna per i singoli Paesi». Serrati i bulloni della difesa, lEuropa resta comunque ancora vulnerabile alle ondate periodiche di sfiducia verso alcuni tra i Paesi più indebitati dellUnione.
Il nodo del debito, del resto, è irrisolvibile nel breve termine. È il retaggio di un passato, anche recente, in cui il Vecchio continente ha vissuto più di debito e deficit che di ricchezza. «È la fine di una fase - ha detto Tremonti - che impone politiche diverse da quella basata sul welfare. È chiaro che va difeso lo Stato sociale, ma non sono più possibili politiche di bilancio impostate su deficit e debito».
Quanto allItalia, da Tremonti è giunta lesortazione «a essere oggettivamente ambiziosi. Siamo provinciali, ma allestero dicono che bisogna essere ambiziosi». Ciò significa, secondo il ministro, essere molto realisti e seri nel catalogare i punti di criticità della nostra economia. A cominciare dal nucleare: «Noi non labbiamo - ha sottolineato - . Se avessimo il nucleare avremmo un Pil maggiore».
Intanto, è tornata in rosso lindustria italiana: il fatturato a luglio è calato del 2,7% rispetto a giugno scorso, segnando la prima riduzione da febbraio 2010.
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