Tremonti, superministro con grandi ambizioni in sella grazie alla crisi

Sempre più lontano dal governo e isolato dal suo stesso partito, Giulio trova riparo nel caos sui mercati e nella sponda dell’Ue. L'inchiesta sul braccio destro MIlanese lo ha indebolito politicamente

Tremonti, superministro 
con grandi ambizioni 
in sella grazie alla crisi

Roma - L’euforica giornata sui mer­cati vissuta ieri - grazie all’accordo eu­ropeo sul salvataggio a oltranza della Grecia - ha rafforzato ancor più la sa­l­dezza di Giulio Tremonti nel ruolo di titolare indiscusso del ministero del­l’Economia. Se la politica fosse una questione esclusiva di formule mate­matiche, il numero uno di Via XX Set­te­mbre avrebbe già coronato con in­carichi di ancor maggior prestigio il proprio cursus honorum . Non è anco­ra così. L’imponderabilità del caso, l’incertezza, il destino hanno un no­tevole peso specifico. Ecco perché a molti non è sfuggita l’insolita scelta del ministro di sedersi, in occasione dell’autorizzazione all’arresto di Al­fonso Papa, sulle tribune della Cam­e­ra e non sui banchi del governo. Una cosa è certa. La decisione non è stata mossa dagli stessi principi che hanno indotto il collega Angelino Al­fano a fare lo stesso.

Il segretario poli­tico ha voluto «fare squadra» con tut­to il gruppo del Pdl. Il dominus del Te­soro ha marcato una distanza. Da cosa o da chi si è allontanato Tremonti? Innanzitutto,occorrerile­vare che quasi sicuramente ha vota­to contro l’arresto di Papa, anche in previsione dell’analoga circostanza che a settembre riguarderà il suo ex braccio destro Marco Milanese. Visti i suoi ottimi rapporti con la Lega Nord, non si commette un errore nel ritenere che fosse a conoscenza del tentativo di smarcamento di Rober­to Maroni e dei suoi «fedelissimi», un’azione che ha incrinato l’asse tra il Carroccio e il primo partito della co­alizione.

La «distanza» di Tremonti, quindi, è sicuramente quella da un governo messo in mora da uno dei suoi pilastri. E la lettera all’ Unità nel­la qual­e ha confermato di aver depo­sitato il marchio di una «cosa», di una formazione, di un partito già ai tempi della sua defenestrazione nel 2004, si­gnifica che l’attività tremontiana non è squisitamente tecnica ma so­p­rattutto politica. Sono sufficienti queste valutazio­ni per ­indicarlo come futuribile pro­tagonista di una fantomatica «fase 2» o comunque di un’imprecisata alter­nativa? No. In primo luogo, perché l’inchiesta di Napoli che ha coinvol­to-Milaneseel’exportavocedelTeso­ro, Manuela Bravi, ha sicuramente penalizzato l’immagine del «super­ministro ». In secondo luogo, se Tremonti è lontano dalPdl, ilPdlèlontanodalui. La manovra non è piaciuta al gruppo dirigenteperchél’impostazione,ba­sata su un inasprimento del prelievo fiscale, erode il consenso del partito dimaggioranzarelativa. Nonèunca­sosea «mettercilafaccia»siastatoso­lo Giulio, lasciato un po’ solo da tutto gli altri. È certamente singolare che nelle ultime edizioni del Mattinale , larassegnaragionatadelPdl,siacon­tenutaunasolacitazionediTremon­ti( inunadichiarazionedelpresiden­te Schifani che rassicura sui tagli del Senato alla «casta») nonostante fos­sero praticamente monotematiche sul panico in Borsa. E non è un mistero che se la situa­zione sui mercati non fosse stata drammatica,a Via XX Settembre for­se oggi siederebbe qualcun altro. Ma il via libera alla correzione dei conti del Fondo monetario interna­zionale e dell’Unione Europea da un lato e la moral suasion del Quiri­nale( chehapesatomoltopiùdelso­stegno di Bossi) dall’altro hanno mantenuto inalterato lo status quo . Tuttiquestielementiconsentono di disegnare un quadro della situa­zione abbastanza chiaro e di pro­spettare i possibili scenari. Il gover­no ha adottato una posizione di «re­sistenza » contro l’offensiva della magistratura e contro i tentativi del Pd (cui le Procure con le inchieste sui dalemiani hanno mandato un segnale di fumo) di sfruttare a pro­prio vantaggio il clima manettaro e la crisi greca. Resistere imporrà, al­meno nel breve termine, la confer­ma di colui che ha costruito in Italia (e parzialmente in Europa) lo scudo contro la devastazione finanziaria e gli attacchi speculativi. Se l’isteria collettivaditipo«manettaro»doves­sedegenerare, Tremonti, avendori­portato danni collaterali, non po­trebbe aspirare a un salto di qualità giacché il talebanesimo giustiziali­sta gli rinfaccerebbe alcune man­chevolezze.

Resta solo la terza ipote­si, che in politica è sempre consenti­ta, e cioè l’apertura di quella nuova fase che le velleità «maroniane» va­gheggiano. Ma sarebbe comunque un futuro non troppo diverso dal passato nel quale la com­petenza tremontiana in materia di conti prevarrebbe su qualsiasi altra indi­cazione. Sempre lì, lì nel mezzo, a Via XX Settembre.

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