Trent’anni di storia d’Italia raccontati con una pellicola

Una collezione, una mostra, un libro. «Storia della fotografia in Italia», a cura di Paolo Morello, allo Spazio Forma - Centro Internazionale della Fotografia (piazza Tito Lucrezio Caro 1, info: 02-58118067, www.formafoto.it) fino al 2 giugno, mette in scena trent’anni di fotografia italiana d’autore, dal 1945 al 1975, dal dopoguerra fino all’apice della modernizzazione del nostro Paese, attraverso il boom economico e la crisi petrolifera. Il catalogo, edito da Contrasto, è il primo di una serie che intende utilizzare la fotografia come strumento a cavallo tra storia, cultura e sociale per raccontare l’evoluzione degli italiani: orientamenti ideologici, lavoro, espressioni artistiche di un popolo e della sua classe politica. Del resto, nel trentennio documentato dalla mostra la fotografia è diventata protagonista quale mezzo di espressione e informazione. In questi decenni infatti, sono nati fotoreporter, amatori, artisti che hanno usato l’obiettivo invece del pennello, competendo sulla scena internazionale (Ugo Mulas tra i primi) a fianco di grandi autori come Robert Capa. Parallelamente, nell’industria cinematografica, i registi hanno cominciato a ingaggiare direttori della fotografia dotati di taglio e vocazioni artistiche, al fine di accreditare ulteriormente sotto il profilo qualitativo le pellicole in produzione. Sta di fatto, comunque, che negli anni Settanta la fotografia italiana si affermò definitivamente sulla scena nazionale e internazionale. Capolavori come «Gli italiani si voltano», «I sagrato di piazza Duomo», «I fatti di Budapest» di Mario De Biasi, oppure «Domenica di settembre», «Vaporetto» e «Morire di classe» di Gianni Berengo Gardin con Carla Cerati, «Scanno e Pretini» e tanti paesaggi di Mario Giacomelli, sono diventati vere e proprie icone della cultura italiana a tutto tondo. Erano anni in cui anche l’Istituto della Storia della Fotografia muoveva i primi passi, con le pubblicazioni di Enzo Sellerio, anch’esso fotografo. Lanfranco Colombo e Adriana Milla, nonchè Lia Rumma e l’antica Ditta Alinari, furono i primi a cercare di dare un nuovo volto alla fotografia sulla base del volume di Walter Benjamin La fotografia e la sua riproducibilità tecnica, un’arte che in America con Ansel Adams aveva già un mercato preciso. Il rapporto tra committenti e fotografi è il filo rosso che lega nomi come Fulvio Roiter, Mario De Biasi e Piergiorgio Branzi. Lavorare per la «Guilde du Livre» di Losanna, raffinata casa editrice specializzata era un vero onore. Sotto la direzione di Albert Mermoud, Roiter realizzò i primi volumi agli esordi della sua carriera e così l’enfant prodige della fotografia italiana lasciò una sua impronta. Di segno completamente opposto è stato De Biasi, legato al gruppo editoriale Mondadori e alla rivista Epoca, con un lavoro fatto di capacità tecniche e umane. Pinna, che documentò la miseria della guerra con Murra e Giacomelli. Ma è giusto ricordare anche Carrubba, Sansone, Ferroni e gli altri fotografi della «scuola romana».

Cavalli, Perilli, Finazzi e Vender, insieme al pittore Veronesi, si concentrarono sul realismo e sul formalismo. Franco Vaccari, Luigi Ghirri, Vincenzo Fontana, Mimmo Lo Jodice, Mario Lasalandra: sono stati gli ultimi a chiudere questo periodo d’oro, caratterizzato dalla preziosa congiunzione tra arte, pittura e fotografia.

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