Lhanno lasciata morire per sessanta centesimi, ora i suoi familiari vogliono che i responsabili la paghino cara: un milione di euro. Una sorta di legge del taglione che può ben essere compresa alla luce della rabbia generata da una morte assurda.
La storia è semplice come solo certi paradossi sanno essere. La sfortunata protagonista è una donna trentina di cinquantanni, Paola Cagol, che nel 2007 si era rivolta allospedale San Camillo di Trento per un normale pap test, un controllo di routine ma molto caldeggiato come mezzo di prevenzione. Ma molto inutile se resta in un cassetto. E così avviene per il risultato del test effettuato sulla cinquantenne. La donna, non vedendo arrivare nessuna comunicazione dallospedale, si convince che lesame non abbia rivelato alcun problema. Ma sei mesi dopo, per puro caso, è la figlia a ritirare il referto. Sul quale cè scritta una parola che suona come una mazzata per Paola Cagol: «Carcinoma». Alla figlia, che chiede come mai il referto non sia stato spedito a casa come si fa di solito, linfermiera risponde che era stato accantonato perché la paziente non aveva pagato il francobollo. Un annuncio così importante archiviato per non sostenere un costo di sessanta centesimi. O ancora meno, per non sprecarsi a fare una telefonata. Che poteva valere la vita di una persona, dicono marito e figlia della donna. Paola Cagol inizia infatti un ciclo di chemioterapia al Santa Chiara, unaltra struttura di Trento, ma siamo nel 2008, con sei mesi di ritardo che potevano rivelarsi decisivi per salvarla.
Di certo la cinquantenne non è fortunata. Anche al Santa Chiara il decorso delle cure è tuttaltro che lineare. La donna risponde bene al ciclo di chemioterapia e viene rispedita a casa, forse frettolosamente. Ma il sistema immunitario è indebolito e, stando alle prime indagini, anche a questo si sarebbe potuto ovviare con una cura adeguata. Dopo un rimpallo tra 118 e guardia medica, la donna viene portata al pronto soccorso, ma è troppo tardi.
I familiari della donna sono convinti che ci siano delle responsabilità precise per quel che è accaduto: hanno sporto denuncia e chiesto danni per un milione di euro, sia al San Camillo che al Santa Chiara. Il primario di Oncologia di questultimo ospedale si difende: «Non cè stata negligenza». Ma la Procura è convinta del contrario e ha indagato dieci tra medici e infermieri.
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