Cultura e Spettacoli

La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette

2Nell’autobiografia di Wanda Senigalliesi mezzo secolo di storia, dal Duce ai viado

La maîtresse di Indro nella Prima Repubblica delle marchette

È la mezzanotte del 20 settembre 1958 quando da noi crolla la Prima Repubblica delle Marchette. La maiuscola è d’obbligo anche per la «M», in ossequio alla fotografia sociologica scattata da Indro Montanelli sotto le mentite spoglie del fantomatico «Rapporto Kensey sulla situazione italiana», sottotitolo del libello Addio, Wanda!, datato 1956 e targato Longanesi: «un colpo di piccone alle case chiuse fa crollare l’intero edificio, basato su tre fondamentali puntelli: la Fede cattolica, la Patria e la Famiglia. Perché era nei cosiddetti postriboli che queste tre grandi istituzioni trovavano la più sicura garanzia».
Di solito il bravo giornalista mette la notizia «in testa» al suo articolo. Indro, invece, poteva permettersi di metterla «in coda». Anche perché quella non era una notizia, ma una semplice constatazione. E anche perché Addio Wanda! non era un reportage, bensì un romanzetto stralunato, una specie di giro d’Italia fra Roma, Milano, Bologna, Napoli e Messina compiuto da un tale mr. Kensey (notare l’assonanza con i Rapporti Kinsey sul comportamento sessuale dell’uomo - 1948 - e della donna - 1953 - che molto scalpore fecero negli Stati Uniti).
Ma ciò che conta, qui, è quel nome: Wanda. Nome da rivista, nome da sogno, nome al risuonare del quale ogni uomo si sente come i boys della Osiris ai lati della scala che lei scendeva lentamente, regale e strizzata nel corpetto luccicante. Tuttavia la Wanda in questione, ispiratrice del libriccino montanelliano (ripubblicato da Rizzoli nel ’75 e nel ’93 insieme a Mio marito Carlo Marx e Il buonuomo Mussolini) è un’altra. Meglio, è... una di quelle, in apparenza un’attentatrice alla Fede cattolica, alla Patria e alla Famiglia che invece contribuì, in prima persona o con il tramite delle sue «ragazze», alla loro sopravvivenza.
Si chiama (e usiamo l’ottimismo del presente, visto che due anni fa si faceva ancora sentire, per telefono, con gli amici della «sua» Milano, parlando dall’altra parte del mondo, dall’Uruguay, a dispetto dei 94 anni) Wanda Senigalliesi. È lei Wanda. L’ultima maîtresse che ora ci parla per 300 pagine nell’autobiografia curata da Claudio Bernieri (Memoranda editore, euro 15). Lei fu, oltre che la musa ispiratrice del vecchio direttore di questo Giornale, l’anello di congiunzione fra il pre e il post «legge Merlin», fra la Prima Repubblica delle Marchette e la Seconda Repubblica che per il momento, come si diceva una volta, «fa flanella», cincischia, si trascina da un divano all’altro e non si decide a «salire in camera». E, visto che il destino ci porta a parlare un po’ di noi, sapete chi, per puro caso, trasse la Wanda dall’oblio dell’alcol nel degrado della Stazione Centrale milanese? Vittorio Feltri, il direttore di oggi. Andò così. Nel ’92, ai tempi dell’Europeo, inviò proprio Bernieri, con il fotografo Piero Raffaelli al seguito, a fare un’inchiesta fra i barboni della quasi ex Milano da bere. I due incontrarono, fra gli altri, una vecchia di 78 anni aggrappata alla bottiglia e ai ricordi. Messa per un po’ da parte la bottiglia, Bernieri incominciò a frugare fra i ricordi e ne venne fuori una storia bellissima, dove il filo conduttore di sua maestà la Marchetta svolge un matassa lunga oltre mezzo secolo.
Si parte dai clienti delle gerarchie fasciste incluso il loro vertice (una chicca del libro è la foto del posteriore di Wanda insaccato nei mutandoni con la scritta «Duce» durante la trasferta in Africa Orientale) per arrivare alla prostituzione che potremmo definire post-moderna, nella quale la variabile ostentata dai viado cambia le prospettive sia della copula, sia dei punti esclamativi, dentro e fuori le cronache gossipare. Sono gli estremi che si toccano: dal regime in erezione al basso impero dei sensi il passo è talmente breve...
In mezzo, il racconto di Wanda avvolge ogni cosa, come un immenso Tricolore: i partigiani rossi più per le fatiche dell’alcova che per convinzione politica; un matrimonio inevitabilmente non in bianco; e l’essere «al verde» di chi si trovò, all’improvviso, letteralmente in mezzo a una strada quando il Paese assistette, impotente, allo sfratto del comune senso del pudore, da allora in poi, non a caso, senza fissa dimora. E poi ci sono i preti che non temono di peccare sporcandosi le mani con le peccatrici; gli alberghi a ore dove il tempo non passa mai; le cooperative di professioniste che falliscono; persino alcune ipotesi di amore, quello vero, che non ha bisogno del routinario riscontro carnale.
«Vecchio professore, cosa vai cercando in quel portone»? Se insegnassi Storia, potresti riscattare la tua borghese vergogna con il piccolo, rivoluzionario orgoglio di scegliere questo libro, Wanda. L’ultima maîtresse, come testo di base per un innovativo corso monografico sull’Italia del Novecento. A supporto, ovviamente, dovresti consigliare Addio Wanda!, di Indro Montanelli. Non sarebbe una bischerata.

E nemmeno una puttanata.

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