Le tribù di oggi e il codice dell’«uniforme»

Cosa vorrà mai dire, Exactitudes, termine piuttosto difficile da pronunciare, contrazione delle parole inglesi exact e attitude? Neologismo utilizzato, anzi prima inventato, dal duo di artisti olandesi Ari Versluis e Ellie Uyttenbroek per dare significato a una pratica da loro molto osservata. La traduzione della parola potrebbe infatti voler dire «stesso atteggiamento» «stessa posa"» ed è esattamente ciò che i due ripropongono nei lavori presentati a Palazzo Incontro, nella mostra dal titolo Exactitudes.
Exactitudes altro non è che una serie di 112 ritratti fotografici multipli, quasi sempre rappresentati da un numero di dodici o anche più scatti, attraverso i quali si cerca di raccontare un atteggiamento, un modo di vivere, lo sguardo, un comportamento, una condotta, ma anche attitudini di vita o anche una zona del mondo, semplicemente attraverso la posizione del corpo, reiterata in maniera quasi ossessiva.
Il duo di artisti fa da circa 15 anni una ricerca metodologica ed enciclopedica di stili, modi di vestire, tendenze. Per ogni lavoro c’è dietro una intenzione di approfondimento, di osservazione, che viene enucleata utilizzando la narrazione seriale, introducendo cioè dodici figure umane che rappresentano la stessa cosa. Apparentemente uguali, ma in realtà differenti. Il lavoro dei due artisti sembra divertente a un occhio disattento ma, osservando le tematiche prese di mira, ci si rende conto dell’attenzione che viene data anche a problematiche piuttosto importanti tipiche di questa epoca. Un modo diverso per fissare l’attenzione su atteggiamenti, modus vivendi, caratterizzati in maniera piuttosto chiara, senza mai indugiare inutilmente.
Un tentativo di vedere quanto possa essere difficile dirsi tutti uguali pur nella diversità, e quanto, ugualmente, si sia diversi pur nell’uguaglianza.

Le serie di maggiore interesse sono quelle in cui vengono esaminate le categorie più complesse, come per esempio i vagabondi, ma anche i bambini di Rio: tutte foto di ragazzini con il volto imbronciato, le braccia incrociate su corpi quasi nudi; o ancora i ragazzi del ghetto, ma soprattutto il ritratto multiplo dei musulmani, un gioco di colori dei loro mantelli. Gli scatti, ispirati a luoghi eterogenei ma anche multiculturali, sono stati scattati a Rotterdam, New York, Parigi, Milano e Pechino.
Fino al 26 aprile. Ingresso gratuito.

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