In trincea con gli austriaci La battaglia vista dal nemico

Sfondare le linee ebbe alcuni effetti indesiderati: ricompattare gli italiani e prosciugare le risorse civili

In trincea con gli austriaci La battaglia vista dal nemico

Anticipiamo qui, per gentile concessione dell'autore e del XIII Festival Internazinale della storia, l'intervento che il professor Erwin Schmidl presenterà a Gorizia venerdì 26 maggio nell'incontro "Caporetto 1917". Schmidl, che è anche direttore dell'Istituto per la strategia e le politiche di sicurezza presso l'Austrian national Defence Academy, racconta la famosa battaglia, a cent'anni di distanza, vista dal versante austriaco.

Oggi, in Austria, il ricordo della Grande guerra si è offuscato. Da un lato ciò è senz'altro dovuto al fatto che quella guerra «noi» l'abbiamo persa, e la sconfitta ha anche posto fine alla monarchia asburgica. Dall'altro, è da considerare che la maggior parte dei luoghi del conflitto si trovano al di fuori dei confini odierni dell'Austria. Soltanto pochi punti fermi sono sopravvissuti nella memoria collettiva: fra questi le battaglie sulle Alpi (anche in virtù del nesso con la perdita del Sud Tirolo) e forse il primo inverno di guerra sui Carpazi. E poi c'è l'Isonzo, col suo fronte breve (neppure cento chilometri) ma importante, che dal mare si estende lungo il Carso fino a raggiungere le Alpi Giulie.

SUCCESSI E SCONFITTE In Austria la Grande guerra è associata soprattutto al concetto di «perdita»: in termini di vite umane, territoriali e infine politiche, con il crollo e la dissoluzione dello Stato. Il fronte dell'Isonzo, tuttavia, è doppiamente collegato all'idea di «vittoria»: da un lato esso rappresenta oltre due anni di efficace resistenza agli assalti delle preponderanti forze italiane, dall'altro è associato alla vittoriosa offensiva dell'ottobre del 1917. Quest'ultima fu uno dei pochi sfondamenti operativi dell'intero conflitto, e venne immortalata nei modi più svariati, da Fanteria all'attacco di Erwin Rommel ad Addio alle armi di Ernest Hemingway.

Nella maggior parte dei casi queste vittorie trascurano il fatto che anche al nemico italiano, che talvolta ancora oggi in Austria viene visto in luce negativa, vada tributato rispetto. Ciò non soltanto per il valore dimostrato in battaglia, ma anche per la conduzione del conflitto, un elemento che troppo spesso non si è voluto considerare. A quest'ultimo aspetto va ricondotta l'abilità di sfruttare le linee interne per effettuare sorprendenti trasferimenti di truppe fra i fronti del Tirolo e dell'Isonzo. Ciò rese possibile in primo luogo la conquista di Gorizia nel 1916 e dell'altopiano della Bainsizza l'anno successivo, ma vi si può ricondurre anche, al netto di tutti i suoi errori, il coraggio dimostrato dal generale Cadorna nel novembre del 1917 nel gestire la ritirata delle truppe non solo fino al Tagliamento bensì fino al Piave, dove fu ristabilito il fronte.

LE BATTAGLIE DELL'ISONZO Quando l'Italia entrò in guerra nel maggio del 1915 fra i suoi obiettivi vi erano, oltre al Sud Tirolo, la conquista di Gorizia (via di accesso per Lubiana) e di Trieste, oltre che di alcuni tratti della costa adriatica, abitati in parte da italiani. Ciò era visto come il completamento dell'unità nazionale, ottenuta più di cinquant'anni prima.

La distanza che separava i vecchi confini imperiali da Lubiana e Trieste sembrava breve, e tuttavia alle truppe italiane, pur superiori in numero, non furono sufficienti le undici «battaglie dell'Isonzo» fra il 1915 e il 1917 per sfondare il fronte, né sul Carso né più a nord, sulle montagne. Entrambi gli schieramenti patirono ingenti perdite nell'«inferno dell'Isonzo» e anche qui, come sul fronte occidentale, le tecnologie degli armamenti privilegiarono chi si trovava a difendere. Gli italiani riuscirono ad avanzare solo con estrema lentezza, conquistando Gorizia nel corso della VI battaglia dell'Isonzo (1916) e la Bainsizza nell'XI. Questi furono i maggiori successi dell'esercito regio.

LO SFONDAMENTO DI PLEZZO E TOLMINO Dopo l'XI battaglia dell'Isonzo (agosto-settembre del 1917) gli italiani davano l'impressione di essere vicini allo sfondamento. I vertici dell'esercito austro-ungarico si trovarono di fronte a una decisione: attendere il prossimo assalto o anticiparlo con un contrattacco. Si decise per quest'ultima opzione. Per la prima volta su questo fronte c'erano anche numerose unità tedesche a supporto. Col massiccio sostegno dell'artiglieria e dei gas, il 24 ottobre del 1917 iniziò l'attacco degli Imperi centrali. Alla 14ª armata tedesca appartenevano nove divisioni austro-ungariche e sei tedesche. Al comando c'era il generale prussiano Otto von Below, mentre il capo di Stato maggiore era il generale bavarese Konrad Krafft von Dellmensingen (il primo comandante dell'Alpenkorps tedesco e padre delle truppe tedesche da montagna). Entrambi avevano già combattuto su vari fronti, accumulando una vasta esperienza. Nel campo austriaco va menzionato soprattutto il generale Alfred Krauß, che nel quadro della 14ª armata comandava il 1° corpo austro-ungarico sul settore settentrionale del fronte; con le sue truppe, fra cui la divisione Edelweiss, avanzò combattendo sulle montagne fino al monte Grappa.

Il fulcro dell'attacco fu l'alto Isonzo fra Plezzo e Tolmino: da qui il nome tedesco della battaglia, lo «sfondamento di Plezzo e Tolmino». La 2ª armata italiana fu costretta alla ritirata, portandosi dietro la 3ª (che si trovava più a sud) e la 4ª, che combatteva sulle montagne. La battaglia, che in Italia prese il nome dalla località nell'epicentro dell'attacco (Caporetto), fu una disfatta per gli italiani, che nel corso della ritirata nella piana veneta persero circa 40mila soldati fra morti e feriti, mentre altri 298.745 caddero prigionieri, e rimasero nelle mani del nemico 3.512 pezzi di artiglieria, 1.732 lanciamine, 2.899 mitragliatrici e altro equipaggiamento bellico. La linea del fronte si spostò a ovest, lungo il Piave e sul massiccio del Grappa.

Diversi fattori resero possibile la vittoria degli Imperi centrali. Uno di questi fu la decisione di attaccare sul fondo delle valli, penetrando con rapidità senza curarsi dei capisaldi rimasti indietro sulle alture, in modo da mantenere costantemente l'iniziativa. A ciò si aggiunse il breve ma intenso martellamento dell'artiglieria nel corso della preparazione dell'attacco, e l'utilizzo mirato dei gas. La XII battaglia dell'Isonzo rappresentò uno dei pochi casi in cui agli Imperi centrali riuscì l'applicazione su un altro teatro di guerra di esperienze belliche importate dal fronte occidentale.

GIUDIZI DIVISI In Austria la battaglia non fu vista soltanto alla stregua di un grandioso successo: vi si colsero anche degli elementi di ambivalenza. Il professore Manfried Rauchensteiner, da tempo direttore dello Heeresgeschichtliches Museum, tentò di dimostrare che lo sfruttamento delle linee ferroviarie per il trasporto delle truppe durante i preparativi per la battaglia avrebbe causato pesanti ritardi nell'approvvigionamento delle grandi città. Un esempio è il trasporto delle patate, che avvenne nel periodo delle gelate; grandi quantità di beni alimentari andarono perdute. Ciò avrebbe peggiorato ulteriormente le già scarse risorse a disposizione della popolazione, contribuendo alle dimostrazioni di protesta dell'anno successivo.

Nell'ambito militare rimane controverso, da un punto di vista odierno, il ricorso ai gas, considerato oggi diversamente da allora come particolarmente disumano e pertanto proibito (i più recenti dibattiti sul presunto utilizzo di gas tossici in Siria dimostrano quanto oggi questo argomento susciti emozioni). Nel 1917, tuttavia, gli attacchi col gas erano senz'altro efficaci per indebolire il nemico.

Il fatto che la vittoria del 1917 fu in parte dovuta al supporto tedesco ha contribuito (in Austria come in Germania) al rafforzamento del cliché dell'inettitudine austriaca a ottenere successi militari senza aiuto da parte dell'alleato. In Germania ciò ha rafforzato la talvolta preesistente arroganza nei confronti del «camerata Schnürschuh», termine col quale si deridevano bonariamente i soldati austriaci a causa delle loro calzature coi lacci. In Austria invece condusse, dopo il crollo della monarchia, al latente anelito all'unione col «fratello maggiore».

In Germania due nomi sono associati al ricordo di Caporetto: i futuri feldmarescialli Erwin Rommel e Ferdinand Schörner si guadagnarono qui, da giovani ufficiali, l'ordine Pour le mérite.

Paradossalmente, in Italia la sconfitta del 1917 mutò la percezione della guerra. Questa era iniziata nel 1915 come una guerra di aggressione contro i precedenti alleati. Di conseguenza molti soldati si erano interrogati sul senso che potesse avere mettere la propria vita a repentaglio per la conquista di Trieste, Lubiana o Fiume. Dopo Caporetto, però, l'esercito austro-ungarico si trovò sul suolo italiano: la guerra si fece difensiva, e l'esercito italiano si trovò chiaramente ad avere meno problemi di prima col fenomeno dell'insubordinazione. La vittoria del 1918 fu una conseguenza di questa nuova disposizione d'animo.

Erwin Schmidl

* professore di storia militare all'Università di Vienna

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