Cronaca locale

«Trionfano gli stilisti, ma mancano i sarti»

Gianluigi Nuzzi

Quella mattina dopo aver vestito Vladimir Putin, sgonfiato le spallucce un po’ goffe del presidente, Mosca capitale si risvegliò tappezzata di manifesti da neorealismo russo. «Chi non ha gusto non ha coscienza». Era sbarcato il sarto Gianni Campagna. Sessanta ore di forbici e ago per prepararti l’abito su misura: 15 per i pantaloni, 45 per la giacca, 5mila euro prezzo da vetrina. Con il cartellino che seleziona la clientela nel quartier generale di corso Venezia angolo Palestro. Ed è proprio questi giorni di sfilate, party, collezioni, limousine nere e modelle che Campagna sceglie per lanciare un allarme controcorrente: «A Milano non si trovano più giovani con grinta - afferma -, disposti a imparare, con la voglia di diventare sarti. Eppure è un lavoro, diciamo pure un’arte, che soddisfa anche economicamente. Qui pago da 2 sino a 4mila euro al mese, ma mi creda è dura. Tutti seguono le tendenze, quando le mode passano e lo stile resta». Sarà uno slogan ma qualche ragione Campagna ce l’ha. «Ho abbandonato le scuole a 10 anni per seguire il mio istinto, a 14 tagliavo i vestiti a mia sorella e mio fratello - racconta -. Da ragazzo andavo dietro Domenico Saraceni, nella sua sartoria di piazza San Babila, vestivamo Onassis, il principe Ranieri, qualche reale. Ogni giorno era un’emozione tra tessuti, capricci dei clienti e qualità. Oggi è diverso. I giovani seguono mode che si spengono in pochi mesi, spesso prive di stile e di gusto. Ed è sempre più difficile trovare qualcuno che abbia passione per la sartoria. Un peccato che mortifica. Pensano tutti che lo stile che conquista sia quello griffato e a buon prezzo. Con materiale scadente, con una lavorazione magari un po’ alla buona. Indossi e dopo due anni butti. Il confronto con chi segue la qualità non regge».
Sarà per questo che Campagna da due anni ha lasciato la passerella: «Ogni volta i prezzi lievitavano, pierre, feste e champagne - racconta - blocchi la produzione per presentare la collezione. E va bene, dico io, ma conviene? Alla lunga poco o niente. Meglio il rapporto diretto, la clientela che ti conosce e apprezza negli anni. Aumentano le soddisfazioni, diminuiscono i costi. Solo che i sarti sono sempre più contesi e sempre di meno. Quelli che lavorano da me, i più giovani, hanno quarant’anni. Quando se torniamo indietro di mezzo secolo i ragazzi facevano la fila per entrare dal retrobottega e imparare dai grandi maestri. Che a Milano, come a Napoli o a Roma ti insegnavano i segreti, le cuciture invisibili, la creazione di abiti che lasciavano senza parole i clienti». La catena della conoscenza, del sapere, delle eredità tramandate rischia di interrompersi? «Secondo me sì - replica Campagna - l'alta qualità diventa sempre più di nicchia, la moda vuol dire public relations, copertine e conoscenze giuste per le locations più esclusive. Con il paradosso che la sartoria italiana, dopo aver insegnato in mezzo mondo, pare ora quasi ingombrante. Eppure è un bagaglio enorme. Le vede quelle forbici lì, grosse e scure? Erano del sarto che aveva tagliato i vestiti a Giuseppe Verdi, le ho ricevute in regalo. Il dono più bello della mia vita. Mi creda».
gianluigi.

nuzzi@ilgiornale.it

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