La triste storia di un’ebrea nell’Olanda antinazista

Prima di vedere il Black book («Libro nero») dell’olandese Paul Verhoeven, andrebbe letta l'opera dello storico israeliano Zeev Sternhell: egli sostiene che, fascista o antifascista, l'Europa è antigiudaica. Implicitamente, è un invito per ogni ebreo del Vecchio continente a emigrare in Israele. E un'emigrata diventa appunto la protagonista di Black book, un'ebrea che cercò di passare le linee tedesche nel settembre 1944. Invano. Tradita dalla guida, vede uccisi i genitori. Lei sfugge alla cattura e diventa una spia della Resistenza nel letto di un ufficiale dell'Sd. Solo che l'ufficiale è più onesto che i partigiani. E nel maggio-giugno 1945, quando l'Aia passa in mano agli anglocanadesi, l'epurazione dimostra che i resistenti non sono migliori degli occupanti. Si apre una gara a chi cela meglio il proprio tradimento, la cui prova è nel libro nero di un avvocato, mediatore con i tedeschi.

Corale, insolito, spiritoso, perfino leggermente erotico, Black book dice quel tuttora pochi hanno il coraggio di dire: i deboli son buoni finché restan deboli... Basterebbe questo a giustificare il biglietto d'ingresso.
BLACK BOOK di Paul Verhoeven (Olanda/Germania, 2006), con Carice von Houten, Thom Hoffman. 135 minuti

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