La tristezza di Hillary: con Bill aveva fallito lo stesso traguardo

Se c’è una persona infelice in questo periodo, quella è Hillary Clinton. Il marito Bill s’è avvicinato al voto della riforma sanitaria così: «Quando passerà, sarò quasi più felice io di Obama». L’ex presidente sa che in un modo o nell’altro sua moglie uscirà sconfitta di nuovo. Che c’entra? Hillary ha un rapporto politico e personale con la riforma sanitaria lungo e complicato. Perché nell’era post Johnson lei è stata la persona che più ha tenuto all’idea di dare la salute pubblica a tutti gli americani. L’ha fatto nel 1993, quando da First Lady si mise al lavoro su un piano che avrebbe cambiato per sempre il rapporto degli Stati Uniti con la sanità. Era l’Hillarycare, come lo definirono i giornali allora. Mirava all’assistenza sanitaria universale. Prevedeva l’obbligo per i datori di lavoro di fornirla ai dipendenti scegliendo tra organizzazioni regolamentate e in competizione fra loro.
Il progetto scatenò durissime reazioni dei conservatori e della «lobby della salute», cioè delle compagnie che vendono polizze. Anche i democratici, che avevano la maggioranza, anziché schierarsi con i Clinton, fecero proposte alternative, umiliando sostanzialmente la Casa Bianca e la First Lady. Il piano fu abbandonato nel settembre 1994 e, per molti analisti della politica americana, fu uno dei motivi che portarono il ribaltone al Congresso nelle elezioni del 1998.
Il pallino della mutua universale o di qualcosa che a quello si avvicini il più possibile è sempre rimasto nella testa di Hillary. Anche nella campagna elettorale del 2008, l’allora candidata democratica alle primarie, aveva messo a punto un nuovo piano. Forse migliore di quello di Barack Obama. La sua riforma prevedeva l’obbligo individuale di avere un’assicurazione sanitaria: nel 1993 Hillary si mise contro le piccole aziende, i grandi gruppi, le compagnie assicurative e spaventò quegli americani contenti dei propri piani sanitari. Quindici anni dopo aveva deciso di garantire la libertà di scelta e di dare agevolazioni fiscali a quei cittadini costretti a spendere più di una percentuale del proprio stipendio per l’acquisto della polizza. Alle grandi e piccole aziende, poi, imponeva di fornire ai dipendenti un’assicurazione o di contribuire a un fondo nazionale. Ai piccoli imprenditori offriva un credito fiscale più alto, come incentivo ulteriore. Un piano molto più liberale e di destra rispetto al 1993. Persino un discreto numero di repubblicani era a favore della sua idea di riforma perché al contrario dell’Hillarycare non ci sarebbe stato un solo dollaro di aumento fiscale a carico di cittadini e imprese. Anche quello, però, è rimasto nei cassetti. Per sempre, forse. La sconfitta alle primarie democratiche contro Obama ha impedito alla Clinton di poter anche solo proporre il suo modello di sanità agli americani. La riforma Obama, allora, è uno schiaffo: c’ha messo tutta se stessa, Hillary, e non ce l’ha fatta. Barack, il suo vecchio nemico Barack, il suo nuovo datore di lavoro Barack, invece è arrivato alla finale, dove lady Clinton non è mai riuscita neanche ad avvicinarsi.

Ora si occupa di altro, di accordi sul nucleare con la Russia, di non far arrabbiare troppo Israele, di non far fare troppi passi in avanti all’Iran. Un grande scenario, rispetto alla sanità. Però magari qualcun altro con la mutua può entrare nella storia. Come fa Hillary a essere felice?

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