Cultura e Spettacoli

Troppe carinerie in quel Don Giovanni

Lorenzo Arruga

da Ravenna

Infuria Don Giovanni in tutt'Europa e in tutto il mondo, nell'estate del duecentocinquantesimo compleanno di Mozart. Ne vediamo a bizzeffe, nei teatri al chiuso e all'aperto, ormai svanita la paura che il pubblico non risponda a un'opera di tanto impegno e di tanta grandezza.
Infuria? Infurierebbe, lo lasciassero fare: trasgressivo, seducente, scatenato, tragico, potente turbatore di filosofi e di artisti e di psicologi, inesauribile fuoco di passioni e fonte di dibattiti accesi, di contraddizioni. Ma sulla scena pochi direttori musicali e artistici si preoccupano di trovare tanto formidabile protagonista e un manipolo di interpreti adeguati attorno a lui, e si titillano piuttosto con i soliti ed uggiosi idoli prêt-à-porter: la direzione «filologica» puntuta e asciutta, allergica alle passioni e ai godimenti; la regìa che spiega, che aggiunge, che trasporta, che allude, che ripete vecchie provocazioni a costo di introdurre biancherie intime o ufficiali nazisti; la routine che convoca cantanti giovani ma già tanto noiosi in grado di emettere suoni e note al ritmo giusto come se Mozart fosse tutto lì.
Così, si presentava interessante al Ravenna Festival incontrare il caro polverosone Don Giovanni che si vedeva a Praga qualche lustro fa, con le scene del glorioso Svoboda, che disegna pochi ambienti essenziali in un impianto di palchetti azzurrini del teatro dove l'opera è nata, come schizzi d'una Praga d'apparizioni rese magiche e toccanti dalla libertà delle luci e dalla bellezza classica dei costumi di Theodor Pistek; e una regìa di Václav Kaslík, lineare e reticente colla sua brava patina d'antico.
C'è stato un guaio: il direttore del teatro Nazionale di Praga, nel portarlo dalla Moldava all'Adriatico, ha pensato di dare allo spettacolo una sua svecchiatina, e sull'austero corpo della storia com'era preparata ha immesso delle equivoche e stucchevoli carinerie: i servitori di scena, pomposamente vestiti, mentre Zerlina è tentata dal seduttore, gettano attorno a loro due fiori bianchi che s'infilano nel pavimento, un'altra volta a un tratto tentano clownesche acrobazie; si creano trovatine così al di sotto del dramma e della felicità dell'opera da far cascare le braccia.


E intanto la musica si snoda quieta come un ripasso al Conservatorio: Roman Janal, protagonista, è tanto volonteroso; gli altri sono Peter Mikulas, Adriana Kohutkova, Pavla Vykopalova, Pavel Cernoch, Alfabeta Polackova, Jan Martinik e Zdenek Plech, che dal podio Zbynech Müller ha diretto senza scomporsi, senza turbare i sonni, e anzi facilitandoli.

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