di Francesco Forte
Il presidente dellIstat, Enrico Giovannini, ha comunicato che il Pil, il prodotto nazionale, nel 1° trimestre 2012, in Italia, sè contratto dello 0,5% sul quarto del 2011. Alla fine del trimestre mancano 10 giorni, ma gli indicatori statistici sono sufficienti per stimarne il Pil globale. La causa della flessione, ha aggiunto Giovannini, sta nella caduta della domanda interna di consumi. Ciò emerge anche dai dati sul fatturato industriale e sugli ordinativi nazionali ed esteri. Infatti, mentre quelli domestici sono in forte flessione, quelli dellexport nei primi mesi dellanno crescono, sia pure poco.
Dalla crescita del Pil dello 0,2% del 2011, siamo passati a meno 0,5 in questo trimestre. La flessione, se ripetuta nei tre trimestri successivi, ci porterebbe nel 2012 a una riduzione del Pil del 2%. Ciò impedirebbe di ottenere la riduzione all1,3% del deficit del 2012. E svanirebbe buona parte dellefficacia della manovra correttiva del governo Monti, fatta soprattutto con aumenti fiscali. Già altre volte sè notato che le grandi e rapide azioni correttive fiscali possono avere un effetto depressivo del Pil, generando minori entrate e che ciò può annullare, in larga parte, gli effetti desiderati. Ad esempio, un aumento delle entrate di un volume pari del 2,2% del Pil, con una pressione fiscale del 45% del Pil, e con questo invariato, riduce il deficit dell1% del Pil. Ma se, per effetto di essa, il Pil scende di un punto e le entrate diminuiscono in proporzione, il deficit non scende di un punto ma di mezzo punto di Pil.
Cè un altro effetto perverso da considerare: il fatto che la riduzione del Pil fa crescere in proporzione il rapporto fra debito pubblico e Pil. Esso da noi è attorno al 119%, la proporzione, dunque, è circa 1,2. Se per effetto di una manovra fiscale si vuole ridurre il deficit di un 1% del Pil, fa calare questo di un 1% mentre il deficit si riduce solo di 0,5, a causa dei minori imponibili. Il risultato è che il rapporto fra debito e Pil peggiora di 1,2 per effetto del minor Pil e migliora di 0,5 per la riduzione del deficit. Al netto, il rapporto debito-Pil peggiora di 0,7%! Si poteva evitare questo brutto gioco delloca che costa duri sacrifici e ci fa fare 5 passi avanti e 4 indietro? Ovviamente i tagli dei deficit riducono sempre la domanda generata dal disavanzo. Però in cambio il volume dei debiti scende e le prospettive future migliorano. Però queste manovre potrebbero essere accompagnate da rilancio degli investimenti nelledilizia, in opere pubbliche che danno proventi di mercato sia pure parziali e in infrastrutture, che spesso per partire hanno bisogno solo di crediti agevolati. Per esempio, si può tagliare il deficit di 1% del Pil ed usare lo 0,2 per azionare una domanda equivalente.
Il governo Berlusconi sera impantanato sul decreto pro crescita a cui il ministro Tremonti faceva mancare quello 0,2. Cerano anche complicazioni burocratiche. Ma di solito una manovra fatta di tasse ha effetti più depressivi di una con tagli di spesa. Anche gli aumenti fiscali hanno effetti diversi per i diversi tributi e aliquote. Laumento di 1% dellIva ad aliquota normale ha ridotto i consumi di altrettanto. E, soprattutto, ha avuto effetti depressivi la tassazione delle case delle famiglie. Nell'attuale governo è prevalente la cultura keynesiana per cui la tassazione dei patrimoni non riduce la domanda di consumi. Ma è una tesi errata, quando si tratta di immobili e in genere di risparmi dei ceti medi e medio piccoli. Lo dice unautorevole teoria economica rivale a quella di Keynes. E lo dovrebbe dire il buon senso. Comunque, ora lo dimostra indirettamente ma efficacemente uno studio econometrico di Lisa Dettlin e Melissa Schettini Kearney per il National Bureau of Economic Research di New York che mostra che un aumento medio del 10% del valore degli immobili aumenta del 4,5% il tasso di natalità delle famiglie con proprietà della casa, perché «si sentono più ricche».
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