di Marco Lombardo
Diciamolo subito: il problema non è certo Cannavaro. Il suo sfogo è lecito, la sua innocenza è certezza. Ma un dubbio invece resta: nellera dellantidoping senza pietà, per il calcio la legge è più uguale degli altri? In pratica: la Procura antidoping ha sempre perseguito con ineccepibile durezza chi bara, anche a costo di esagerare. Prendiamo ad esempio il caso Gibilisco, il saltatore con lasta condannato due volte al massimo della pena quando già la magistratura ordinaria aveva archiviato il suo caso, lo stesso che poi è stato assolto sia dalla Federatletica che dal Tas di Losanna. Ricordate? Sfilata dal Procuratore Torri a Roma, gogna mediatica, condanna a prescindere. Così comè stato per i ciclisti, quelli «tutti dopati» (e purtroppo spesso è vero), e perfino per una giocatrice di bocce di 61 anni, perché lantidoping non guarda in faccia (giustamente) a nessuno.
Però poi si scopre che nel calcio si usano altri metodi: magari non per Mannini e Possanzini, ma quando Totti fa la pipì in ritardo dopo Roma-Torino (2007), viene ascoltato da Torri senza che nessuno ne abbia notizia, se non ad archiviazione avvenuta.
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