Troppi fannulloni, centrodestra ko alla Camera

RomaIl ministro Brunetta non li ha ancora presi di mira, impegnato com’è a battagliare con i dipendenti pubblici, ma un qualche provvedimento contro gli «onorevoli fannulloni» prima o poi il governo e la maggioranza lo dovranno prendere. Anche perché ieri sia alla Camera che al Senato il Pdl non ha fatto una gran bella figura su due provvedimenti fondamentali come la riforma della legge di bilancio a Montecitorio e la Finanziaria stessa al Senato.
Coloro che hanno meno diritto ad accampare scuse sono i deputati del Popolo della libertà che sono «andati sotto» per ben due volte sulla riforma della Finanziaria. Reduci da una settimana di vacanza decisa dal presidente Fini, alcuni di loro hanno ben pensato di prolungare le «ferie» con il risultato di far gioire un’opposizione che conta su queste defaillance per far sentire la propria voce.
Ma procediamo con ordine. All’«appello» di ieri mattina risultavano assenti giustificati perché in missione ben 50 deputati dei quali 41 da ricollegare all’area della maggioranza. Esclusi i componenti dell’esecutivo, ministri e sottosegretari che non possono godere del dono dell’ubiquità (fatta eccezione per il viceministro dell’Economia Vegas che ha buttato anche un occhio al Senato per «presidiare» la manovra), va comunque segnalato che non erano in aula, tra gli altri, i deputati Menia, Moles e Cirielli e i leghisti Goisis e Stefani.
Tra coloro che non hanno partecipato al voto senza «giustificazione» se ne contano ben 33. Oltre a nomi eccellenti come il coordinatore Denis Verdini, il vicecapogruppo Italo Bocchino e gli ex ministri Pietro Lunardi e Mirko Tremaglia c’è stata un’altra trentina di defezioni. Tra queste in ordine rigorosamente alfabetico si possono citare Isabella Bertolini, Fiorella Ceccacci, Giuseppe Consolo, Giulia Cosenza, i pugliesi Distaso e Divella, Giuseppe Fallica, Massimo Nicolucci, Alfonso Papa, Guglielmo Picchi, Giancarlo Pittelli, Elvira Savino.
E così sono passate due modifiche di tipo tecnico, una dell’Idv e una del Pd, al provvedimento che rivoluziona la Finanziaria trasformandola in «legge di stabilità» mentre il vecchio Dpef cede il passo al Dfp, decisione di finanza pubblica. Lo scarto? Favorevoli 263 e contrari 259 per il primo e 262-259 per il secondo. Ma sono situazioni da mettere in preventivo quando un deputato su quattro non è, per un motivo o per l’altro, al suo posto. Nelle due votazioni fatidiche, infatti, sono mancati 66 deputati al Pdl che, considerata la decina di assenze leghiste, hanno determinato il ribaltamento dei rapporti di forza.
Anzi, se ieri alla Camera non si è rischiata una Caporetto totale bisogna in qualche modo ringraziare proprio i seguaci del nuovo movimento di Francesco Rutelli, impegnati nella presentazione, nonché qualche big del Pd come Bersani, D’Alema, Veltroni e Damiano. Un emendamento dell’opposizione è stato respinto perché i voti favorevoli erano pari ai contrari. Alla votazione finale, poi, hanno partecipato solo 470 onorevoli in totale.
E non è stato un bel vedere nemmeno a Palazzo Madama. Al di là del dibattito nella maggioranza sulle risorse per alcuni provvedimenti di spesa, bisogna rilevare che ieri nella discussione in aula è mancato il numero legale. Un segnale politico di qualche malpancista? Probabilmente sì, ma non è stata una bella figura. Tant’è vero che il capogruppo pd Anna Finocchiaro ha avuto un’altra chance per ironizzare. «Evidentemente la passione per la manovra economica del ministro Tremonti li sta divorando... » ha commentato.
Il nodo è sempre lo stesso: trovare denari per qualche riduzione della pressione fiscale (Irap in particolare) e per i capitoli come sicurezza e giustizia. Il capogruppo Gasparri ha preannunciato miglioramenti per queste ultime due voci e l’avvio della Banca del Sud nel maxiemendamento del relatore Saia. Ma in realtà la trattativa estenuante proseguirà nel passaggio alla Camera.

«Se qualcuno - ha detto il viceministro Vegas - pensa che la Finanziaria sia simile a un bancomat ci creiamo un danno». Ai problemi causati dagli «assenteisti» potrebbe invece pensare, così per gioco, il ministro Renato Brunetta.

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