«Troppi film per i giovani ma quello non è cinema»

Il regista (36 anni) non concorda con i colleghi coetanei: «Pellicole brutte non finanziano le belle»

«Troppi film per i giovani ma quello non è cinema»

da Sabaudia

La più bella «città di fondazione» è deturpata dalle auto. Solo a un regista era lecito rimuoverle e rendere splendore a Sabaudia, almeno in L'amico di famiglia, uno dei film importanti dell'ultimo decennio. L'anno scorso L'amico di famiglia era al Festival di Cannes: davanti al «compromesso» imposto a una ventenne da un sordido sessantenne (Giacomo Rizzo), usuraio neofascista, critici francesi e italiani hanno nicchiato, ma già meno che nel 2004, davanti a Le conseguenze dell'amore, col distinto sessantenne (Toni Servillo), contabile mafioso a Chiasso. In comune nei due film: adulti che si rovinano per ragazze inconsistenti.
Signor Sorrentino, parteciperà al prossimo Festival?
«No. Ma entro l'anno comincerò un film, sempre drammatico».
Peccato. L'anno scorso c'era anche come attore, nel Caimano. Come era nata quell'idea?
«Non ho chiesto a Nanni Moretti perché mi avesse scelto per quel ruolo. Ero con un altro regista, Paolo Virzì: ce la siamo cavata con due giorni di riprese. La retribuzione è andata in beneficenza».
Reciterà ancora?
«Non ho mai avuto velleità d'attore».
E adesso che cosa fa, in attesa di girare?
«Scrivo un romanzo: altamente drammatico anch'esso, con molte donne, ambientato in Francia... ».
... perché, conosce la Francia?
«... perché non la conosco».
Conosceva il Ticino delle Conseguenze dell’amore?
«No, ci sono andato e ho inventato sul momento».
Fra caveau e strade, mentre l'albergo era di Treviso.
«Caratterizzati da illuminazioni opposte: molto fredde o molto calde».
Conosce però Sabaudia.
«Come luogo di vacanza».
Figlio e fratello di commercialisti...
«... sono quasi commercialista anch'io. Mancano cinque esami».
Da quasi commercialista, conosce gli uomini del denaro e lo si è visto. E sa che esame sia per un film l'incasso.
«Le conseguenze dell’amore è andato bene, grazie anche ai cinque David di Donatello. L'amico di famiglia è andato meno bene... ».
... sebbene fosse migliore. Che cosa le è stato rimproverato?
«Cito a caso: "Film artefatto", "troppi movimenti di macchina"... ».
Per l'incasso minore, sarà che «amore» attira più di «amico»?
«È un'ipotesi. Ormai c'è un'attenzione spasmodica per i film a tema giovanilistico, dettata da certi recenti successi... ».
Ovvio: quasi solo gli adolescenti vanno al cinema.
«Il giovanilismo è così diventato l'asse portante del nostro cinema. Per alcuni ormai è il cinema».
Per lei che cos'è?
«Intrattenimento; non è cinema tutto ciò che è su pellicola».
Allude per caso a film come Ho voglia di te e Tre metri sopra il cielo di Federico Moccia?
«Non cito nessuno, ne sto alla larga. Mi bastano le recensioni. Conosce il detto: "Non l'ho visto e non mi piace"?».
Conosce il detto: «Un film può essere arte, ma il cinema è industria»?
«E quindi i brutti film ne finanzieranno uno bello? Se fosse vero... ».
Non lo è?
«Non lo è ora. Incassi giovanilisti generano altro giovanilismo».
Quando un film d'autore costerà meno delle imposte sugli utili dei film di genere, l'autore sarà ambitissimo.
«Ma c'è anche un cattivo indirizzo per i giovani. Li si fa cominciare con film di genere, tenuti a pronto riscontro».
Totò, Franco&Ciccio, Banfi, Fantozzi, sandaloni, western, erotici, poliziotteschi finanziavano Visconti, Fellini, Antonioni, Bellocchio, Bertolucci...
«Oggi le opere prime sono più difficili di allora. Quasi sempre sono realizzate con mezzi insufficienti e sono un salto mortale. Obbligo d'incasso al primo colpo».
Registi americani incassano con film per cretini e dopo fanno film per intelligenti.
«È il loro modo, ma così non si possono tentare operazioni sul linguaggio e sulla narrazione.

Obbligare ad aderire agli schemi di un progetto collaudato significa andare contro i giovani».
Lei ha fatto tre film, uno andato a Venezia, due a Cannes! Si lamenta?
«Mi è andata bene, ma sono solo l’eccezione che conferma la regola».

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