Giuseppe Pennisi è un economista atipico. È stato il primo in Italia, allinizio degli anni 90, a raccontare «lesilio» della generazione dei trentenni. È uomo di analisi e di numeri, e il suo orizzonte è sempre stato internazionale. Ma Pennisi è soprattutto un melomane, un uomo che vive di arie e romanze. I teatri lirici sono le sue oasi, i suoi ristori. Li ama, li ha studiati, ne conosce i segreti, artistici ed economici.
Di fronte a una gestione dei teatri lirici che sortisce risultati molto diversivi caso in caso, crede che i problemi persistenti siano solo ed esclusivamente frutto dell'intervento statale?
«Non bisogna idolatrare il mercato. Se il mercato non è sempre capace di autoregolarsi nel campo della giustizia, della sicurezza nazionale o dell'istruzione e della sanità, figuriamoci con la lirica. Come scriveva Baumol, economista che negli anni Sessanta studiò l'economia delle arti dal vivo, la "musa bizzarra e altera" della lirica è al di fuori del progresso tecnologico. Per portare in scena un Nabucco è necessario lo stesso numero di orchestrali e di coristi che servivano 150 anni fa. Se ne deduce che un'arte che come la lirica non riesce a diventare competitiva ha quindi bisogno di regole imposte dallo Stato, prima che del mercato».
Si è realizzato questo «intervento del principe» che lei a ragion veduta auspica?
«Sì, e per l'esattezza nell'ultimo mese. Il ministro dei Beni e delle attività culturali Rocco Buttiglione ha imposto dei calmieri ai cachet destinati ai solisti, alle étoile, ai direttori d'orchestra. Cachet restano in ogni caso più alti rispetto alla media europea: basti citare il caso di Zubin Mehta, che a dichiarato di ricevere da ben sei 25mila euro a serata dal Maggio musicale Fiorentino - teatro in guai seri -, mentre per dirigere i Wiener Philharmoniker ne prende soltanto cinquemila a serata».
A suo parere, è sufficiente questo intervento per migliorare in generale la performance dei teatri lirici italiani?
«No, non credo che si riduca tutto a questo. A mio parere, il ministro dei Beni e delle attività culturali dovrebbe intervenire anche nella regolazione dell'offerta.
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