TROPPO TARDI

Non fosse che il nostro problema è quotidiano e angosciante, che la condizione di vita nelle città sta diventando insopportabile, che crimini, disagi, prepotenze sono stati per un anno denunciati ogni giorno dall’opposizione e bollati ogni giorno dal governo come forme pericolosissime di razzismo risorgente, si potrebbe con umorismo residuo commentare il grido d’allarme di Giuliano Amato, e i gridolini di Paolo Ferrero, ricorrendo alla saggezza popolare: tanto tuonò che piovve, chiudete la stalla quando i buoi sono scappati, e via con tanti altri proverbi. Ma questi sono i ministri che si compiacciono di dichiararsi «ministro dei clandestini» e invitano gli immigrati alla ribellione, che scrivono saggi supponenti contro l’imperialismo dell’Occidente, solo perché la maggioranza degli occidentali disapprova l’imposizione del velo e la segregazione delle donne musulmane nel nostro Paese. Questi ministri e il governo che esemplarmente rappresentano si apprestano oggi a benedire la discussione in Parlamento di una nuova legge, che sostituirà la Bossi-Fini, che tutti già chiamano legge dell’immigrazione libera, e che porta i loro due nomi. Non sono colpevoli solo di un deplorevole ritardo, sono inaffidabili. La sicurezza dei nostri confini è preziosa, loro la disprezzano.
Nel gennaio scorso Romano Prodi ha firmato l’ingresso della Romania nell’Unione Europea, da allora a oggi l’esodo dei rom è stato incessante. Nessuno ha il coraggio di fare dei numeri realistici, Ferrero azzarda uno spaventoso centocinquantamila, ma sono molti di più; forse nessuno ci riesce, troppe sono le baraccopoli nascoste lungo i fiumi dove una volta passeggiavamo, sotto le pinete dove facevamo le gite alla domenica, a pochi metri dai condomini dove la gente viene derubata quando esce a fare la spesa. Solo a Milano, il primo Comune che si è provato a dire basta, ce ne sono diecimila, e i quattro milioni di euro che il ministro della Solidarietà Sociale ostenta come il miracolo, servono a ben poco. Sarebbe bastato applicare una moratoria, uno stop per due anni, invece il governo e i due ministri che ora si dicono preoccupati hanno detto no. Sarebbe bastato che l’Italia facesse non dico come Sarkozy, ma seguisse la direttiva europea che parla chiaro: o hai un lavoro che ti consente di mantenerti o non entri nel nuovo Paese dove vorresti risiedere. Non hanno voluto fare niente, troppo impegnati a tenere buoni i comunisti loro compagni, troppo occupati a fingersi i nuovi paladini di un mondo più buono.
Anche ora non hanno cambiato idea.

Si sono spaventati, questo sì, dell’invasione dei rom e dello sdegno degli italiani, e tentano di scaricare le responsabilità di un problema ormai al precipizio sulle istituzioni locali, le stesse che prima hanno spocchiosamente ignorato, accentrando tutte le decisioni al Viminale. Incapaci, in mala fede, pericolosi.

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