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Il trotto francese va copiato ma bisogna saper copiare

Ernesto Cazzaniga*

Dopo il brillante esito di pubblico del Campionato europeo di trotto a Cesena, ovviamente ciascuno si sente in dovere di dire la sua, ed è giusto sia così - per carità ci mancherebbe altro - la libertà di pensiero è di opinione è a tutti garantita. Saremmo ben poco previdenti e lungimiranti se ci si limitasse ad una semplice constatazione della ottima riuscita sul piano della partecipazione del pubblico anche, e soprattutto, in relazione allo spettacolo invero penoso della quasi totalità dei nostri ippodromi, pure in presenza di manifestazioni importanti sul piano tecnico, fondamentali per lo sviluppo dell’allevamento, desolatamente vuoti. Come al solito parto con una provocazione: qualcuno pensa, a parte l’ingegner Grassi ovviamente per motivi comprensibili (è il patron della Cesenate), che se il Campionato europeo di Cesena, al posto di avere una dotazione complessiva di circa trecentomila euro, fosse ridotto alla metà, avrebbe, sul piano tecnico e spettacolare cambiato o modificato un bel niente. Ci sarebbero stati gli stessi partecipanti più o meno, lo stesso pubblico e lo stesso volume di gioco. Al contrario, invece, provando ad applicare la stessa ricetta al calendario selettivo classico, quale risultato potremmo avere? Nell’immediato probabilmente non cambierebbe molto, ma nel medio lungo periodo, l’ippica si avvierebbe su una strada senza ritorno di impoverimento drammatico del potenziale genetico dei nostri prodotti, con la conseguente ricerca di soluzioni autarchiche, che in pochi anni porterebbero l’allevamento italiano a livello di quasi tutti gli altri Paesi europei ad esclusione della Svezia e, soprattutto, della Francia. A proposito della Francia, Marco Trentini in un breve commento sul quotidiano ippico lo Sportsman, esprimeva le sue perplessità sulla attuale situazione ippica in generale, paventando il pericolo, per i due ultimi Paesi ippicamente significativi - Italia e Svezia - di diventare i satelliti poveri della opulenta Francia. Auspicando una inversione di tendenza con una politica aperturista e una coraggiosa ricerca di nuovi mercati verso l’Est. Probabilmente influenzato verso questa «nuova frontiera» dalla visita in Kazakistan in occasione della disputa di una specie di campionato del mondo egemonizzato da un trio di cavalli francesi.
Ma, io mi chiedo: la Francia non ha fatto la sua fortuna su una politica di assoluto rigore allevatorio e di protezione del prodotto francese? Francese ho detto e non nato obbligatoriamente in Francia come qualche sprovveduto vorrebbe fosse da noi in Italia, che beneficiamo dello stesso sistema di protezione dei nostri prodotti. Noi dal 1991 abbiamo scelto di fatto la stessa strada, messi di fronte alla direttiva comunitaria, che imponeva l’apertura dell’ottanta per cento del nostro allora appetibilissimo montepremi. Perché il risultato non è stato altrettanto interessante?
I perché sono tanti: uno tra i primi e la non crescita tecnica dei nostri ippodromi, rimasti al palo di partenza, abbarbicati ai loro privilegi ed alle loro lotte di potere. Un altro aspetto è strutturale, l’Italia non è un paese agricolo, in Francia esistono oltre duecento ippodromi di trotto, dei quali non se ne sente mai parlare, basta però andare nel «profondo sud» (che non è sud, ma nord), per vedere piccoli ippodromi, mai con piste inferiori a mille metri, i quali a volte con il solo e limitatissimo gioco sul campo effettuano tre o quattro riunioni all’anno. Sempre pieni di appassionati soprattutto. Da noi siamo rimasti con le strutture di un tempo, elevate a rango di grandi ippodromi senza averne le caratteristiche, senza modificazioni strutturali che almeno ne ridisegnassero la conformazione tecnica (per chi fa finta di non capire: voglio dire ampiezza delle piste). Quando sentiamo parlare degli ippodromi francesi, di quali parliamo? di Vincennes, Cagnes Sur Mer, Enghien e gli altri? Come non esistessero. Se guardate la televisione francese non vedrete lo spettacolo impietoso che viene propinato in Italia, solo tre o quattro ippodromi di Trotto e altrettanti di Galoppo.

Amen.
Ma quanti dei personaggi che oggi occupano poltrone di responsabilità si sono accertati o mai posto seriamente il problema dello studio di questa realtà, neanche tanto lontana?
* ex presidente dell’Anact (Associazione nazionale allevatori del cavallo trottatore)

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