Trovò fama e gloria sulla strada sbagliata

Voleva cristianizzare e «anglicizzare» i popoli africani. Riuscì soltanto a fare e disfare la propria famiglia Ma senza di lui il mondo sarebbe più piccolo

Trascorse la prima giovinezza abitando con i cinque fratelli e i genitori in un locale di dodici metri quadri. Questa angustia gli dette la nostalgia degli spazi immensi. Il padre, fanatico calvinista, lo convinse perciò facilmente a diventare missionario. Il giovanotto si laureò, sperando di partire in missione per la Cina. Ma la Società missionaria di Londra, cui aveva aderito, lo spedì nella congregazione di Kuruman, in Botswana, avamposto cristiano dell’Africa meridionale. Qui però, predominava il pastore Robert Moffat e il nuovo venuto capì che non era posto per lui. «Predicherò il Vangelo in zone nuove», disse a se stesso. Prima di riprendere il cammino, promise a Mary, la figlia di Moffat, che l’avrebbe sposata appena fondata la propria missione.
Il Nostro, con un piccolo seguito, salì verso il nord sconosciuto ai bianchi. Tutto lo sorprendeva. Fu particolarmente colpito da montagnole fangose alte un metro che, come poi seppe, erano feci di elefante. Giunto dalle parti del Mozambico fondò la propria missione. Un giorno fu aggredito da un leone. «L’animale - racconta nelle sue memorie - balzò su di me colpendomi a una spalla. Rotolammo al suolo. Ruggendo orribilmente al mio orecchio mi scosse come un terrier avrebbe fatto con un topo. L’urto mi produsse un torpore... Questa particolare condizione si verifica in tutti gli animali uccisi dai grossi carnivori: un pietoso intervento del nostro generoso Creatore per alleviare la sofferenza della morte». Si salvò invece grazie all’aiutante africano che allontanò il leone sparando. Ma il braccio era maciullato e non poté mai più sollevarlo oltre la spalla.
Qualche anno dopo, il trentaduenne sposò Mary. Insieme fondarono diverse missioni che si risolsero tutte in un fallimento. Nei 30 anni che trascorse in Africa, il Nostro riuscì a convertire un solo indigeno, ma non a fargli abbandonare la poligamia. Perciò si convinse che il cristianesimo non poteva attecchire se prima non fossero stati sradicati i costumi africani. Per farlo - pensò - bisognava «anglicizzare» gli indigeni e coinvolgerli nei traffici commerciali, sperando che, con una diversa mentalità, avrebbero poi abbracciato la nuova fede. Diventava dunque indispensabile trovare una strada che collegasse il centro nero dell’Africa agli inciviliti porti angolani sull’Atlantico a Ovest e a quelli mozambicani nell’Oceano Indiano a Est.
Con questa strana idea commercial-missionaria, il Nostro esplorò lo Zambesi e i suoi affluenti che, secondo lui, attraversavano l’intera latitudine del Continente, raggiungendo entrambi i mari. La ricerca della «strada di Dio», come la chiamò, gli costò un decennio di inenarrabili fatiche. Si ammalò di malaria e di dissenteria cronica, soffrendo a tal punto che più volte la sua mente vacillò. Mary inoltre cominciava a diventare un peso poiché - come scrisse -, «aveva l’irritante abitudine di partorire durante le spedizioni». Era infatti molto prolifica, al punto che il marito, poco cavallerescamente, la chiamava «la fabbrica». Così, in una pausa delle esplorazioni, la imbarcò con la numerosa prole da Città del Capo per l’Inghilterra. Lontana dal marito, Mary cominciò a bere, mentre i figli quasi dimenticarono il padre rimasto in Africa. Era lo scotto che il Nostro pagava alla sua sete di avventura. La «strada di Dio» non fu mai trovata. Lo Zambesi, interrotto da rapide e cascate, non era navigabile e non poteva essere utilizzato per raggiungere i porti.
Nonostante avesse mancato l’obiettivo, il missionario - che mandava regolari rapporti in patria - era però diventato famoso per avere toccato zone inesplorate e la Regina Vittoria lo richiamò a Londra per onorarlo. Fu festeggiato come l’apostolo che aveva cristianizzato migliaia di indigeni. In realtà, come sappiamo, ne aveva convertito uno solo. Ma il Nostro non ebbe mai il coraggio di ammetterlo. Solo la Società missionaria, che era al corrente, si risentì e con una gelida lettera lo licenziò.
Il non più missionario tornò in Africa e si ficcò in capo di scoprire le sorgenti del Nilo. Fece un altro fiasco, smarrendosi nelle savane per tre anni. Era dato per morto, quando un intraprendente cronista dell’Herald di New York lo rintracciò nell’attuale Zaire.

«Mister X, I suppose», esclamò il giovanotto nel celeberrimo incontro. «Mi avete ridato la vita», replicò l’altro felice. Era invece troppo consunto per vivere ancora. Morì l’anno dopo, sessantenne, senza rivedere l’Inghilterra.
Chi era?

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