Il trucco laburista: più immigrati, più voti

Londra Concedere visti e permessi di soggiorno piuttosto che negarli. Evadere più richieste possibili riducendo al minimo i controlli anche se questo significava assumersi pesanti rischi. Insomma, porte aperte, anzi spalancate, a tutti gli immigrati e pazienza se tra questi ce n'è qualcuno più pericoloso degli altri. Negli ultimi anni è stata questa la politica laburista sull'immigrazione. Una strategia di tolleranza sempre difesa a spada tratta sia dal governo Blair che da quello del suo successore Brown. La scorsa settimana però, il ministro degli Interni Alan Johnson ha pubblicamente ammesso, per la prima volta, che su questa materia sono stati fatti dei grossi errori. Sono stati ignorati i problemi derivanti dal numero eccessivo di stranieri che hanno invaso il Paese e non si è riusciti a cogliere l'inquietudine della gente per l'aumento della disoccupazione e il malfunzionamento dei servizi pubblici. Ieri il Sunday Times ha rivelato che il governo ha non solo coperto, ma incoraggiato la politica dei permessi facili, per accaparrarsi i voti degli immigrati. Non ha però tenuto conto che il malessere della popolazione avrebbe provocato uno spostamento di una parte dei voti della working class bianca a favore del Partito nazionalista britannico.
Nella corrispondenza - trattenuta illegalmente dall'Home Office per ben 4 anni e resa pubblica soltanto adesso in base alla legge sulla libertà d'informazione - si evidenzia come i ministri competenti fossero stati messi al corrente dal dipartimento dell'Immigrazione che ai dipendenti era stato ordinato di evadere in tutta fretta migliaia di pratiche senza perdere tempo utile nei controlli di routine. «I documenti spiegano quindi l'improvviso aumento di immigrati in Gran Bretagna contemporaneo alla soluzione da parte dell'Home Office, di un arretrato di 45mila casi - spiega il Times -. I funzionari accolsero rapidamente 337mila domande senza neppure controllare. Nel 1999, vennero rilasciati 170mila permessi di soggiorno. Nel 2002 i permessi erano arrivati a 300mila». Naturalmente una simile prassi consentì l'ingresso in Inghilterra di molti individui potenzialmente pericolosi. Negli ultimi mesi del 2001 a più di una ventina di talebani che erano scappati dall'Afghanistan, venne concesso di rimanere in Gran Bretagna.
Regista principale dell'operazione «porte aperte», ben lontana da essere un semplice errore, fu sir Bill Jeffrey, direttore generale della direzione per l'immigrazione e la nazionalità. Altra protagonista della vicenda fu Beverley Hughes, l'allora ministro per la Cittadinanza e l'Immigrazione. La signora fu costretta in seguito a dimettersi per aver deliberatamente fuorviato il parlamento omettendo d'informarlo sul fatto che era al corrente che le gang criminali romene e bulgare avrebbero potuto voler approfittare della decisione inglese di aprire i confini ai lavoratori provenienti dall'Europa dell'est.
Da uno scambio di e-mail, nel 2003, tra Jeffrey e la Hughes appare chiaro che il governo era al corrente della situazione e la sosteneva, tanto che il documento venne secretato più tardi su ordine dell'allora ministro degli interni David Blunkett. Fino a ora chiunque aveva tentato di far chiarezza sul caso era stato fermato. Nel 2004 un dipendente dell'ufficio immigrazione venne licenziato in tronco per aver raccontato al Sunday Times della procedura e ha passato cinque anni nel tentativo di far venire a galla la verità. Prima che i documenti fossero resi pubblici Hughes aveva sempre dichiarato che i permessi facili erano stati rilasciati dai funzionari all'insaputa dei vertici, ma adesso gli sarà difficile mantenere la sua versione dei fatti sui quali anche l'opposizione ha chiesto di venir informata. I laburisti hanno sempre difeso la loro politica sull'immigrazione facendosi scudo dei bei discorsi sulla tolleranza, sulla società multietnica, sul valore delle diversità. Ma lo slogan «immigrato è bello» è soltanto una faccia della medaglia e una parte della risposta che il governo deve alla gente.

La seconda parte della spiegazione sta nel fatto «che almeno 20 seggi laburisti dipendono dal voto degli asiatici - spiega l'ex ministro Chris Mullin nelle sue memorie - e che l'80 per cento delle minoranze etniche vota Labour».

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