«C'è la tubercolosi nella scuola dei nostri figli e nessuno ci ha detto nulla». Sono arrabbiati i genitori dei ragazzi che frequentano l'Istituto Alberghiero Marco Polo di Quarto: nella scuola è stato registrato un caso di Tbc polmonare e loro lo sono venuti a sapere solo per vie traverse. «A quanto pare la malattia è stata portata da un giovane brasiliano - spiega una mamma - siamo preoccupate».
La notizia è confermata dall'Asl 3 di Genova: «Un ragazzo non italiano di 16 anni - fanno sapere - è stato ricoverato il 18 gennaio all'ospedale San Martino per sospetta tubercolosi. La malattia è stata confermata dalle radiografie al torace il 22 gennaio facendo scattare immediatamente tutte le procedure previste dal protocollo in questi casi».
Lunedì scorso i medici dell'Azienda sanitaria hanno testato la classe del ragazzo ammalato, i suoi professori e i bidelli; i risultati delle analisi sono attesi per oggi e solo in base a questi, nei prossimi giorni, verrà predisposta l'adeguata profilassi.
Ma perché tanto silenzio? E perché, soprattutto, testare solo una classe in un Istituto che conta ben undici sezioni? «Diversamente da quanto accade per le scuole materne, elementari e medie inferiori - dicono sempre gli esperti della Asl - alle superiori il protocollo per la tubercolosi prevede il test circoscritto alle sole persone che hanno avuto contatto diretto con la persona malata ossia i compagni di classe e i docenti. Si parte, infatti, dal presupposto che gli studenti di quell'età si mescolino tra loro meno di quelli più piccoli». I genitori però non sono d'accordo: «È proprio quella l'età - spiegano - in cui i contatti tra i ragazzi sono più stretti dato l'inizio dei primi amori. Non ci sentiamo tutelati da questa scuola che finora non ci ha adeguatamente informati». Fino a questo momento, infatti, le uniche ad aver ricevuto un'informazione ufficiale, e non dalla l'Istituto ma dalla Asl, sono le famiglie dei compagni di classe del giovane: tutti gli altri lo sono venuti a sapere dai racconti, non sempre limpidi, dei figli. «È scandaloso che il Preside non ci abbia inviato alcuna comunicazione. Anche se la legge, forse, non lo prevede espressamente gli insegnanti dovrebbero sapere che gli adolescenti sono a forte rischio contagio in quanto si scambiano spesso effusioni e oggetti».
Non sono molto più tranquilli i ragazzi che riferiscono come nella classe testata quattro persone temano il contagio: «A qualcuno si è arrossata la pelle sotto il cerotto - racconta uno di loro - ma questo non vuol dire necessariamente positività. Forse si sono solo graffiati».
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