Tursi dà le case ai nomadi loro borseggiano i genovesi

Monica Bottino

Chiamarli nomadi è sbagliato, come molti fanno notare. I rom che vivono a Genova ormai sono stanziali da molto tempo. Come i cinque che ieri sono stati denunciati dalla polizia per una serie di borseggi compiuti sugli autobus del centro. Quattro ragazze tra i 15 e i 17 anni, tutte in stato di gravidanza, e un ragazzo diciassettenne sono stati colti in flagrante dopo che un passeggero della linea 35, in via Balbi, ha fatto chiudere le porte del mezzo su cui viaggiava perché aveva riconosciuto i ragazzi che poco prima, in largo Zecca, lo avevano borseggiato.
L’uomo, di origine marocchina, non ha avuto esitazioni: «Sono loro» ha urlato, indicandoli con la mano. E i cinque, all’arrivo degli agenti hanno fatto cadere per terra una serie di oggetti che nascondevano sotto i lunghi abiti. C’erano portafogli, un mazzo di chiavi, banconote per un totale di 300 euro e un’agendina elettronica.
Gli agenti della volante di via Balbi, intervenuti immediatamente alla chiamata si sono trovati di fronte ragazzi che già conoscevano, Infatti i cinque nomadi sono tutti già fotosegnalati, vivono in alcune baracche del ponente e si spostano per compiere i loro furti. E si calcola che solo negli ultimi due giorni la banda dei cinque abbia messo a segno almeno quattro borseggi. Infatti oltre all’uomo che ha dato l’allarme le altre vittime, riconosciute in base agli oggetti rinvenuti sono un’anziana genovese di 77 anni e un uomo di 85 anni ai quali è stata restituita la refurtiva. Ma restano oggetti dei quali non è stato ancora rintracciato il proprietario e ciò porterebbe a ritenere che il gruppo abbia messo a segno un quarto borseggio, forse martedì. Questa notizia di certo non farà tornare il buonumore ai genovesi che adesso gli zingari ce li hanno come vicini di casa. E a molti appare percorribile la proposta avanzata dal capogruppo di Alleanza nazionale in Comune, Gianni Bernabò Brea, che ha presentato una mozione urgente al consiglio comunale per realizzare un altro campo nomadi più adeguato alla vita dei rom, ma fuori dal contesto urbano, lasciando disponibili gli appartamenti per i genovesi che ne hanno veramente bisogno e che non si dedicano a furti e borseggi. Intanto i sindacati degli inquilini Sunia, Sicet, e Uniat si sono ritrovati ieri mattina davanti ai Magazzini del cotone per protestare contro il metodo di inserimento dei nomadi sgomberati dal campo della Foce. «Hanno spostato i nomadi da un quartiere centrale alle periferie, aggravando ancora di più una situazione di tensione sociale già forte - ha sottolineato Stefano Salvetti - e questo contrasta con l'annunciata politica di recupero delle delegazioni». I sindacati degli inquilini e i comitati dei quartieri di edilizia popolare hanno sottolineato la necessità di un programma di inserimento dei nomadi concertato con la popolazione e che tenga conto dei problemi esistenti nelle periferie. Problemi come quelli della famiglia Caglio, della quale il Giornale si è occupato nei giorni scorsi, e che per una settimana ha vissuto dentro il box di un vicino di casa dopo essere stata sfrattata dall’appartamento in cui viveva per finita locazione. Da ieri il Comune li ha sistemati, fino a domenica, in un albergo a Prà, poi si vedrà. «Mi hanno detto di mandare mia figlia dalla suore, ma se dobbiamo dividerci allora ritorniamo nel box», dice Salvatore. Intanto il capogruppo di Alleanza Nazionale in Regione, Gianni Plinio, ha presentato un’interpellanza urgente per chiedere la pronta assegnazione, nel rispetto delle graduatorie, di alloggi pubblico a nuclei familiari sfrattati che versano in condizioni di gravissimo disagio, mettendo loro a disposizione case di competenza dei Servizi Sociali per situazioni di emergenza, ovvero traendole dalle numerose sfitte nell'ambito del patrimonio abitativo di Arte comunale o di Istituti pubblici come l’Emanuele Brignole. «Le Istituzioni non possono consentire che ci siano famiglie di nostri concittadini sfrattate e costrette a vivere in condizioni assurde - dichiara in una nota Plinio -. Non si può far finta di non vedere.

Qualche tempo fa ero stato nel tugurio, senza finestre e senza servizi in via Pre, ove viveva un altro sfortunato che aveva perduto la propria casa a seguito del crollo del caseggiato di vico Martinelle. Nei prossimi giorni, col collega Gianni Bernabò Brea, mi recherò a far visita alla famiglia Caglio».

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