Tutta l’Italia pedala sulla bicicletta di Bettini

«Il rischio è che il mondiale finisca in volata, ma Boonen non mi fa paura». Di Luca e Pozzato le alternative

Cristiano Gatti

nostro inviato

a Salisburgo

Un mondiale a qualunque costo. Non c'è problema, non si bada a spese: per aggiungere al guardaroba l'ultima maglia strana che gli manca, Paolo Bettini è pronto a fare follie. Mette in palio 350mila euro: 125 mila garantiti dalla Federazione italiana, altrettanti dalla sua squadra (la belga Quick Step), i restanti 100mila di tasca propria. Il montepremi è riservato alla squadra azzurra, ciclisti e personale, in tutto una ventina di persone. I soldi non sono tutto, nella vita. Ma nello sport aiutano.
Niente, Bettini non ha trascurato niente per vincere questo maledettissimo mondiale, che caccia ormai per l'ottava volta. Ha persino caldeggiato il ritorno in azzurro dell'argentino mancato Davide Rebellin, che da parte sua porta in dote i buoni rapporti con i tedeschi, molti dei quali compagni di squadra. Serve tutto, lungo la strada di un mondiale: bravi compagni, ottime relazioni pubbliche. Da questo punto di vista, tutto è pronto. Alla vigilia arriva via telefono persino un tocco di Fattore C direttamente dal presidente del consiglio Prodi, un'autorità del settore (C). Il cittì Ballerini ha pure messo in squadra un paio di mezzepunte (Pozzato e Di Luca) che cercheranno con le fughe di spolmonare gli avversari. No, davvero non si poteva umanamente fare di meglio.
Il resto, Paolino lo sa, adesso è nelle sue gambe e nella sua testa. Per essere veramente pronto a tutto, dovrà seriamente prendere in considerazione anche l'ipotesi di una soluzione in volata: da anni finisce così, tutto lascia supporre che neppure stavolta si riuscirà a fare sfracelli. I Boonen, i Valverde, i McEwen, gli Hushovd, sono tutta brava gente capace d'essere velocissima e velocista anche dopo 265 chilometri. Bettini è della stessa pasta, in uno sprint allo scadere delle sette ore non gli manca nulla. Meglio dunque che si prepari persino alla soluzione thrilling del fotofinish: un mondiale, la corsa interminabile, si vince anche per una stupida questione di centimetri.
«Non c'è problema - chiarisce Bettini -, ho già vinto grandi corse allo sprint. D'accordo col cittì Ballerini, cercheremo di fare qualcosa prima. Ma se proprio finisce come l'anno scorso, se proprio ci ritroviamo il mostro Boonen negli ultimi duecento metri, nessun problema. Lui è fortissimo, è l'iridato in carica, ma ha pur sempre due gambe. Per battermi dovrà essere migliore di me. Se lo sarà, sono pronto a riconoscerlo. Dopo, però. Prima, anche se è un mio compagno di squadra e un mio amico, farò di tutto per rovinargli la festa. In fondo, Boonen è l'unico che manca sullo sfondo delle mie foto-vittoria...».
Un mondiale come occasione per completare le collezioni personali, in una carriera che anno dopo anno sta diventando maiuscola. Manca la foto con Boonen alle spalle, manca l'ultima maglia vip: attualmente, Bettini detiene quelle di campione olimpico e di campione italiano. In passato ha sfiorato l'iride (secondo a Lisbona 2001, quarto ad Hamilton 2003), ma ogni volta qualcosa s'è messo di traverso. A Verona 2004, favoritissimo e in formissima, s'è addirittura giocato il piatto centrando con una ginocchiata la portiera dell'ammiraglia azzurra, ferma a bordostrada per risolvergli un problema tecnico. In altre parole, è una storia che sta diventando pesante. Come un incantesimo maledetto. Da farne una malattia. Eppure, forse la forza vera di Paolo Bettini sta proprio in questo suo modo un po' saggio e un po' filosofo di andare incontro al destino: «Da anni inseguo questa maglia. Ma non cadrò mai nell'errore di trasformarla in ossessione. Grazie a Dio, nella mia vita ho vinto tanto e bene. Ho vinto persino la corsa più importante di tutte, l'Olimpiade. Non ho il minimo diritto di fare la vittima...».
Avanti così. Sereno verso il giorno del giudizio.

Ai tanti motivi che già si porta dietro, per vincere questo mondiale, ne andrebbe aggiunto anche un altro: questo bisogno estremo e vitale del ciclismo italiano di voltare pagina, di rifarsi una reputazione, di ricostruirsi un morale. Ma forse questo è meglio non ricordarglielo. Certi pesi possono schiacciare.

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