Rainato fu accusato di non aver scattato neppure una foto del naufragio. Spiegò che in quei frangenti non c'era il tempo di metter mano alla macchina fotografica. Molti non gli credettero e pensarono che lui avesse venduto le foto a chissà quale giornale. In effetti le cose andarono ben diversamente. Una testimonianza viva di quel giorno è nella lettera che Rainato mandò alla moglie.
Prima le inviò un telegramma («Sono salvo, sereno, bacioni Italo»), poi, dall'hotel Governor Clinton di New York, dove aveva preso alloggio, le scrisse un lungo sfogo. La data è del 27 luglio 1956, la mattina dopo il naufragio dell'Andrea Doria.
Scriveva Rainato:
«Ho ripreso a fumare! Stamane un giornalista del Daily News mi ha svegliato bussando e nel destarmi mi sono accorto che piangevo. Mi ha sorpreso così e mi ha chiesto le fotografie che avevo fatto nel disastro. Era un po che mi cercava. Io sono entrato in camera stamane alle due. Incontrandomi col capo - commissario, signor Ingianni, al pomeriggio nel ristorante, ci siamo abbracciati e baciati. Mi ha detto: Rainato, mi hanno chiesto le fotografie che lei ha fatto, io ho risposto che lei aveva altro da fare e che fotografie non ne ha.
Ho fatto sedere il visitatore e parlandogli in inglese ho chiesto di scusarmi se mi sorprendeva così. Non ho fotografie, gli ho risposto. Non credo che se ne possano fare in quei momenti. Io sono il fotografo di bordo, non ho però dimenticato che ero, prima di tutto, un marinaio come gli altri.
C'erano molte vite da salvare. Nessuno crede ciò che l'equipaggio dell'Andrea Doria ha fatto e, questo, è terribile. I suoi occhi hanno schivato per un momento i miei. Mi aveva offerto denaro (Noi le paghiamo bene, mi aveva detto). Ha balbettato qualche parola di scusa poi si è alzato, mi ha salutato cortesemente.
La stampa non è stata onesta con noi. Una novantina di passeggeri inqualificabili hanno presentato, lo appresi ieri sera all'arrivo, una protesta per il pessimo comportamento dell'equipaggio! I giornali hanno sfruttato quest'atto di ingratitudine e spudorata menzogna. Si aspettavano le fotografie... Enrico è stato con me sempre. Come me anche lui ha voluto rimanere nella lancia volontariamente per la spola ed ha vogato finché, fiaccato dal vomito, è stato costretto a mettersi da una parte. Siamo stati fra gli ultimi ad imbarcarsi sulla stessa lancia, ma non assieme. Io l'ho raggiunto quando un bravissimo allievo di coperta, Pirelli, mi ha gridato da giù, cosa aspettavo per imbarcarmi. Erano le tre e un quarto. Ci siamo messi subito alla voga e con un carico completo abbiamo tatto rotta verso l'Ile de France scaricando tutti, compreso il capo-commissario Ingianni, che voleva ad ogni costo rimanere. Sono rimasti i volontari e ci siamo portati di nuovo sotto la falla dell'Andrea Doria che era profonda circa 4 - 5 metri, sotto il ponte di comando. È sceso ancora qualche membro dell'equipaggio e l'ultimo passeggero, un signore di prima classe che non voleva imbarcarsi perché aveva la moglie morta a bordo.
Dal ponte di comando il comandante in seconda Magnanini ha impartito degli ordini a Pirelli, che governava la lancia, e ci siamo recati a poppa. Il telefono era interrotto e gli ordini ormai si potevano impartire solo a voce.
Dovevano rimanere a poppa ancora soltanto gli addetti alla dinamo d'emergenza. Gli altri pochi dovevano portarsi alla buscagina più prossima per scendere sulla lancia che attendeva vicino a noi.
E così fu fatto. Riportatici sotto bordo del ponte di comando, abbiamo atteso altri ordini. Ormai i pochi rimasti li vedevamo bene: si erano seduti sui gradini di una scaletta e fumavano. Pensavano che se il comandante era ancora a bordo potevano starci anche loro. Il comandante in seconda Magnanini evidentemente poi li ha fatti imbarcare.
Lui stesso lo abbiamo visto avvicinarsi alla buscagina seguito dal comandante Calamai. Calamai aveva la divisa bleu col basco in testa. Magnanini in pigiama.
Magnanini ha scavalcato la balaustra e si è fermato ai primi gradini della scala a corda ed ha guardato il comandante. Il comandante ha detto: Voi potete andare, io rimango. Dalla lancia abbiamo risposto e Magnanimi ha pure raccomandato al comandante di desistere. Venga anche lei, comandante - si gridava - noi non partiremo senza di lei.
Magnanini diede ordine di non muoverci senza il comandante. Calamai insisteva di rimanere fino allo sbandamento completo, poi ci avrebbe raggiunti a nuoto. Abbiamo risposto che sarebbe stato troppo tardi e tanto noi non ci saremmo mossi. Stette un po senza risponderci, poi finalmente si decise a scendere e prese posto sulla nostra lancia.
Ci siamo staccati che albeggiava. La sagoma dell'Andrea Doria, fino ad allora illuminata dalla luce di emergenza soltanto, tragica in quella posizione, cominciava a schiarirsi con la prima luce del giorno.
Il comandante prese il comando dell'imbarcazione aiutato da Magnanini e dal primo ufficiale. Dopo un'ora circa, portandoci ora più vicino ed ora più lontano dalla nostra Andrea Doria, una segnalazione a lampeggio ci pervenne dalla Ile de France. Ci chiamavano. L'ufficiale rispose ed il comandante chiese che cosa dicevano. Non comprendevano i nostri segnali: rispondevano Kappa. Disse allora il comandante: Dica You can go (potete andare) L'ufficiale trasmise. L'Ile de France sostò ancora per circa un'ora.
Nel cielo parecchi velivoli saettavano da una parte all'altra. Attorno, sul mare, si contavano sette od otto navi soccorritrici, comprese quelle della Marina Americana. I motoscafi militari ci venivano da presso chiedendo se ci occorreva nulla. Ci hanno dato medicinali e sigarette.
Il comandante volle un po dacqua che fu prelevata dalla nostra stessa riserva. Il sole d'un tratto ci illuminò spuntando fra le ciminiere dell'Ile de France. Noi eravamo a cento metri circa dalla nave francese e da altrettanti dall'Andrea Doria.
Prima un fischio, poi un secondo, poi un terzo: l'Ile de France partiva. In quello stesso istante un apparecchio bassissimo passava sull'Ile de France, su di noi e sul Doria.
La nostra nave era bellissima, baciata per l'ultima volta dal sole nascente. Placida, mentre riposava sul fianco, l'acqua lambiva la sua ferita, lentamente la copriva. L'Ile de France scomparve nel cielo all'orizzonte. Gli apparecchi proseguivano il loro lavoro di ripresa. Sul mare le navi attendevano ancora. La nostra ed altre due imbarcazioni ora si riunivano ed ora si staccavano. Una lancia vuota vagava abbandonata. Un motoscafo della Marina girava sempre attorno.
Erano le otto. Il comandante volle rimanere solo con la sua imbarcazione facendoci sostituire alla voga da marinai in più che erano nelle altre due lance. Ci siamo così avviati verso la William Thomas che ci prese a bordo.
Dall'oblò guardavo l'ultima scena. Ancora un nodo alla gola. Com'è difficile piangere quando se ne sente tanto il bisogno! Alle nove partivamo anche noi. L'Andrea Doria era allora immersa fino alla vetrata. Le altre navi prendevano pure loro il via.
Il disastro che colpiva il cuore della nostra Marina Mercantile era compiuto. Tutti abbiamo fatto il nostre dovere».
Nonostante questo, a 24 anni di distanza la polemica è ancora aperta.
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