Politica

Tutti i giovani sono in piazza e i leader sono scomparsi

Sembrano lontani, lontanissimi, i tempi in cui dal tettino della sua auto, immerso in un fiume di gente che scandiva il suo nome, Mir Hosein Mousavi incitava gli iraniani a protestare contro la rielezione fraudolenta del presidente Ahmadinejad. Lontani i tempi in cui le strade di Teheran, infiammate dalla rivolta antiregime, erano un brulicare di striscioni e manifesti col suo ritratto. Eppure era solo giugno scorso. Eppure sembrava avere il popolo ai suoi piedi.
Mentre l'Iran scende in piazza per rovesciare definitivamente il regime islamico, dove sono finiti i leader dell'Onda Verde? Dove i loro principali sponsor, gli ex presidenti Mohammad Khatami e Akbar Hashemi Rafsanjani?
A Teheran la gente grida «Mousavi aiutami», ma sia lui che l'altro ex candidato, il religioso moderato Mehdi Karroubi, sono ridotti al silenzio. Controllati a vista dalle forze di sicurezza, da mesi minacciati in ogni modo, ma anche incapaci di portare avanti una rivolta che li ha visti protagonisti quasi involontari e che ormai ha preso una direzione che va ben oltre i loro primi intenti. In questi giorni entrambi non sono scesi in piazza, né hanno diffuso comunicati significativi. Karroubi, un mullah moderato, si è limitato (dopo 48 ore di sangue) a criticare il regime per la violenta repressione delle manifestazioni di domenica, nella ricorrenza religiosa sciita dell’Ashura. Su di lui pende la concreta possibilità di arresto: da ottobre è al centro di un'indagine per le sue denunce di sevizie sui manifestanti detenuti nelle carceri di Stato.
Tra gli uomini più potenti del Paese, l'ex presidente riformista Khatami è anche lui con le spalle al muro. Sabato stava tenendo un discorso pubblico in una moschea nel nord di Teheran, ma l'irruzione di un gruppo armato di basij lo ha costretto a interromperlo e a darsi alla fuga. Non solo: secondo il sito vicino ai riformisti Parlemannews, agenti della sicurezza hanno perquisito ieri la sua fondazione «Baran», arrestando due suoi collaboratori e sequestrando numerosi documenti.
Il movimento riformista sembra rimasto orfano anche del suo principale sponsor politico (e economico), l'ayatollah Rafsanjani. Era sua la regia dell'«insubordinazione» di Mousavi, ma ora lo «squalo» (come è chiamato l'ex presidente) sembra aver mollato la preda. Si sente parlare di più della figlia Faezeh, fermata già due volte in cinque mesi dalla polizia per la sua partecipazione ai movimenti di piazza.
Ma è all'ex primo ministro Mousavi che il regime del Grande Ayatollah Khamenei sta mandano i segnali più inquietanti. La morte, domenica a Teheran, di suo nipote Ali Habibi Mousavi è stata una vera e propria esecuzione. Non un caso. A detta di analisti iraniani, la scomparsa immediata della salma del giovane conferma la mano del regime dietro l'omicidio: è un avvertimento a Mousavi di non oltrepassare la linea.
La certezza è che nessuno di loro la sorpasserà. Perché né Karroubi, né Mousavi hanno scelto di essere leader: sono stati quasi trascinati dal popolo e hanno guidato un movimento che ora è diventato più grande di loro. Perché la gente non grida più contro i brogli, bensì «Morte a Khamenei», uno slogan mai pronunciato da nessuno dei due riformisti. Perché la gente chiede di rovesciare un sistema, che è quello della dittatura islamica, di cui entrambi gli ex candidati presidenziali fanno pienamente parte.
Già da alcune settimane su Twitter e nei blog circolano commenti come «Mousavi, questo è il momento di agire, devi condurci e fare il prossimo passo», «Quando deciderai di combattere veramente?». Nei cortei iraniani oggi si inizia a gridare un generico «leader, dateci le armi».

Il popolo dell'Onda Verde ormai è maturo e cerca chi lo guiderà alla meta finale.

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