Tutti i segreti di George Harrison l'antidivo

Era considerato "l terzo dei quattro Beatles", quello troppo timido per emergere. Ma ora un docufilm di Scorsese gli rende giustizia. George il gentiluomo ebbe diverse hit, inventò la World Music, i concerti evento e i supergruppi. Guarda tutte le foto

Tutti i segreti di George Harrison l'antidivo

«Qualche volta mi sento come se fossi sul pianeta sbagliato», diceva spesso George Harrison, il Beatle timido che cercava il benessere spirituale del mondo e viveva nel terrore di fare la fine di John Lennon.

A dieci anni dalla morte la biografia della moglie Olivia Living in the Material World ne celebra la vita e l’etica con una sfilata di foto inedite, mentre Rolling Stone e Newsweek gli dedicano la copertina e Scorsese un film tv (stesso titolo della biografia di Olivia, i progetti sono paralleli).

«Eravamo quattro persone relativamente sane in mezzo alla follia» diceva George della Beatlemania, che tradotto nella sua lingua vuol dire: «dopo aver sentito milioni di fan che gridano, ci vogliono parecchi anni per togliersi quelle urla dalla testa». George cominciò questo processo molto prima dello scioglimento dei Beatles in modi contrapposti: con gli acidi e con la meditazione spirituale. Da quando vi si dedicava, era sempre più lontano dall’universo dei suoi compagni.

Nel gennaio del ’67, durante l’incisione del mitico Sergent Pepper, non passava mai più di un giorno con John, Paul e Ringo; viveva nel suo mondo e «un ciclista per strada gli evocava le strade di Dehli, mentre due passi nel parco lo riportavano nel Kashmir». Eppure scrisse brani meravigliosi come Something, Here Comes the Sun (titolo di un’altra biografia appena uscita anche in italiano per Coniglio Editore), While My Guitar Gently Weeps, Long Long Long nel White Album e All Things Must Pass rifiutata da Lennon e McCartney. Le «illuminazioni» di George (mal sopportate dagli altri) portarono ad un clima così teso e a litigi così furenti che i tecnici del suono della Emi spesso lasciavano la sala d’incisione. «Mi sento come se avessi 1000 anni», disse quando i Fab Four si sciolsero e lui ne aveva soltanto 27.

L’uomo mite e tranquillo incide il triplo All Things Must Pass (e il primo triplo album rock e quello più venduto da un Beatle solista), comincia a frequentare Eric Clapton e Bob Dylan (splendida la foto in cui gioca a tennis con quest’ultimo in stile approssimativo) e li convince a partecipare (con il maestro del sitar Ravi Shankar e molte altre star) al monumentale concerto per il Bangladesh, archetipo dei Live Aid e di tutti i concerti benefici.

Il suo paradiso però è Friar Park, l’enorme tenuta nella campagna inglese di cui George si definiva «il giardiniere». Difficilmente si allontana dal buen retiro e torna in concerto raramente, negli Stati Uniti nel ’94 e in Giappone nel ’91. Nel frattempo incide solo sette dischi (il brano Got My Mind Set On You da Cloud Nine si piazza in vetta alle classifiche) ma il richiamo del pubblico e degli amici lo riporta in scena e al successo con il supergruppo Traveling Wilburys al fianco di Dylan, Tom Petty, del rocker della prima ora Roy Orbison e di Jeff Lynne. «Ma lui non pensava alla carriera - ricorda Petty - non voleva manager, faceva solo ciò che voleva e se ne fregava delle regole d’oro del rock».

Preferiva dedicarsi alle piante, a quegli alberi che piantò tanti

anni fa e che oggi il figlio Dhani mostra orgogliosamente dicendo: «Non curi un giardino per te stesso ma per le generazioni future. Questo è il testamento di mio padre». Questa è la vita dell’antidivo più famoso del mondo.

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