Tutti in mutande con Ferrara: "E' indecente spiare il premier"

Il direttore del Foglio alla kermesse milanese: "Basta ficcare il naso nelle vicende private. Berlusconi si svegli e riscopra lo spirito del ’94"

Tutti in mutande con Ferrara: "E' indecente spiare il premier"

Milano - Sono quelli che non si vergognano. Sono migliaia, affollano il teatro Dal Verme mezzora prima che si manifesti Giuliano Ferrara, e al termine si fermano un’altra mezzora a discutere. Non si vergognano a difendere Silvio Berlusconi e a denunciare quello che Ferrara variamente definisce puritanesimo pedofobico, repubblica delle virtù, dispotismo etico, golpe moralistico. Che poi è uno stato di polizia in cui sei spiato, intercettato, perquisito perfino nelle mutande, quelle multicolori che sventolano sul palco. Procedure giudiziarie inquisitorie che combinate con la grancassa mediatica diventano crociata giacobina. Scene già viste: dopo Tangentopoli tocca a Puttanopoli.
«In mutande ma vivi». È il giorno della riscossa, del ritrovato orgoglio. «Una stupenda bestemmia nel tempio immusonito dell’Italia azionista», dice Pietrangelo Buttafuoco. Il teatro è pieno, gente anche fuori, facce serene. «Temevo che gli intellettuali liberali cadessero nella trappola di vergognarsi per quanto sentivano da Santoro o si leggeva sul Fatto», confessa Alessandro Sallusti, direttore del Giornale. Ed ecco al tavolo con lui Ostellino, Buttafuoco, Langone, due donne di fuoco come Assuntina Morresi e Iva Zanicchi, e il veemente direttore del Foglio, anima della manifestazione. Che è tutto fuorché un raduno di intellettuali, appena una decina i deputati guidati dal ministro La Russa e il sottosegretario Santanché.
Il popolo ammaccato del centrodestra ha sentito ciò che voleva: lo smascheramento della manovra per destituire Berlusconi con «una procedura di natura almeno all’inizio extraparlamentare» (parole di Alberto Asor Rosa sul Manifesto), la difesa dello stato liberale e la condanna di quello etico, la denuncia di «un modo indecente di difendere la decenza», la rivendicazione del diritto a rispondere dei comportamenti privati non davanti a un erede dell’Inquisizione spagnola ma alla propria coscienza, e semmai al confessore: «E quello sì che mantiene il segreto», ha chiosato Morresi.
Piero Ostellino rispolvera la Costituzione giacobina napoletana del 1799: chi viveva «poco democraticamente, o dissoluto o voluttuoso sarà da Censori privato del diritto attivo e passivo di cittadinanza». «Cos’e pazzi», sentenziò Vincenzo Cuoco. «Ognuno persegue l’ideale di felicità come crede rispondendo alla coscienza e non a un comitato di censori - chiarisce l’editorialista del Corriere - non difendo Berlusconi ma denuncio la truffa sociologica secondo cui l’Italia è fatta da cittadini di serie A e B, una minoranza antropologicamente evoluta contro una massa di incolti».
Lo scrittore Camillo Langone cita i re biblici poligami Davide e Salomone: «Se Dio ha fatto nascere suo figlio da una catena di re porci, adulteri e omicidi una ragione c’è e devo rispettarla». Iva Zanicchi, anticomunista dalla nascita, rivela invece di aver approfittato del Pci: «Ho fatto 500 feste dell’Unità e con quei soldi mi sono costruita una bellissima villa in Brianza».
È Ferrara, irridente e pugnace, a scatenare la platea. Il Palasharp e il suo simbolo tredicenne: «Inculcano l’odio politico fin dalla più tenera età, ed è una vergogna che accada anche nelle scuole pubbliche». Umberto Eco: «Legge Kant ma non lo capisce, o forse legge Eva Kant», la compagna di Diabolik. Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Consulta: «Il principio del “tutto per tutti” risponde a un’idea di diritto di tipo totalitario che ficca il naso nelle vite degli altri».
Ma adesso siamo al dunque. Berlusconi ha commesso degli errori, «d’altra parte noi non siamo perfettini, ma siamo uniti contro il modo disgustoso e illiberale di voler abbattere il premier con ogni mezzo». Fallita la spallata finiana, non resta che un intervento fuori dalla Costituzione, proposto proprio da chi eleva la Carta a totem intoccabile: azione svolta «dalla procura di Milano tramite un golpe morale, dove l’obbligatorietà dell’azione penale è usata per pedinare, origliare, incastrare. L’errore della telefonata folle e improvvida in questura viene trasformato in crociata puritana perché la debolezza festaiola del Cav può condurlo alla rovina».
Come reagire? Non con «sbiaditi atti censori» come quello proposto in Rai, risponde Ferrara in un crescendo di applausi. «Presidente Berlusconi, lei deve fare il capo dell’Italia, approvare le riforme, tagliare le tasse, rilanciare l’economia. Usi le sue tre tv in modo creativo, valorizzi i giovani liberi, favorisca tanti giornali come il Foglio.

E vada di nuovo in televisione, si impegni nel contraddittorio, basta con queste cose ingessate in cui sembra Breznev. Lei è un uomo di fantasia, ricco, fuori protocollo, ha grinta, animo e coraggio. Deve tornare quello del ’94, libertario, capace, straordinario».

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