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«Tutti in salvo. A solo dieci ore dalla morte»

Il sangue freddo del giovane comandante ha salvato la vita ai marinai. Un imprevisto scatena il panico

Marcello Foa

Ha il volto da adolescente. E dell’adolescente finito in una vicenda più grande di lui ha anche lo sguardo: smarrito, quasi incredulo. Sembra l’ultimo della compagnia, è invece è il primo. Perché quel ragazzo acerbo è Vyacheslav Milashevsky, 25 anni, il comandante dell’Sa28 classe Prinz. Quando, nella tarda serata di ieri, i sette marinai rimasti bloccati per 76 ore negli abissi, hanno toccato terra in Kamchatka tutti gli sguardi erano per lui: quelli, riconoscenti, delle autorità, dei familiari, degli abitanti della penisola nell’estremo oriente russo, ma soprattutto dei suoi sei compagni di bordo. Solo a terra hanno infatti appreso un dettaglio agghiacciante: quando alle 16.26 ora locale (le 5.26 del mattino in Italia) il batiscafo è riemerso, restavano riserve d’aria per solo 10 ore. E se Milashevsky non li avesse costretti a restare sdraiati, immobili, al buio per risparmiare il poco ossigeno prodotto dai quasi esausti generatori di bordo, se non li avesse calmati nei momenti di panico, ora non potrebbero narrare il lieto fine della loro avventura.
Una storia tipicamente russa, ma con un finale che glorifica i britannici. Sono loro, infatti, i veri eroi. O meglio è uno strano robot teleguidato, l’ormai celebre Scorpio, che ha tagliato a uno a uno i cavi e le reti che trattenevano il batiscafo sui fondali dell’oceano Pacifico, a 190 metri di profondità. Fino a sabato sera sembrava che dovessero essere gli americani i protagonisti del salvataggio in extremis. Avevano inviato non uno, ma due Super Scorpio. E oltre una trentina tra tecnici, assistenti, sommozzatori. Un’operazione hollywoodiana, ma troppo imponente per essere realizzata in tempi rapidi. Londra, invece, senza tanti clamori, ha inviato solertemente un solo Scorpio e una decina di tecnici. Quando il C-5 da trasporto statunitense è atterrato nel porto di Petropavlovsk, la capitale della Kamchatka, il robot britannico era già a bordo di una nave russa in navigazione verso il luogo dell’incidente, una cinquantina di chilometri al largo della costa, e i tecnici inglesi freneticamente all’opera per adattare i sistemi elettronici e i macchinari a quelli russi.
Ragazzi svegli, quelli della Royal Navy. Quando verso le 11 del mattino, ora locale, sono giunti a destinazione, tutto era pronto. Pochi minuti dopo lo Scorpio, collegato con un cavo alla nave russa, è stato fatto immergere, nonostante un’improvvisa nebbia e un mare sempre più agitato con onde alte oltre due metri. Il robot ha raggiunto il fondale; con una telecamera i tecnici hanno individuato il batiscafo, intrappolato tra i cavi di un’antenna militare subacquea per il rilevamento dei sottomarini e alcune reti da pesca. Poi hanno attivato la cesoia dello Scorpio. «Un intervento relativamente tranquillo, in circostanze difficili», commenterà un portavoce della Marina britannica. Tutto bene, tutto come previsto. Dopo un’ora e mezza l’operazione era quasi completata e a terra un portavoce russo poteva annunciare che i 7 marinai del minisommergibile avevano appena ricevuto l’ordine di prepararsi all’emersione. Ma qualcosa improvvisamente è andato storto. «C’è un problema tecnico, lo Scorpio deve tornare in superficie». Addio euforia, riecco l’angoscia e quel maledetto conto alla rovescia. Passano dieci minuti, mezz’ora, un’ora. Poco prima delle 16 nuovo annuncio: il robot è tornato in acqua. È la volta buona. Bastano poche manovre per recidere le ultime reti attorno alle eliche. Il comandante Milashevsky può sganciare le zavorre d’acqua e alle 16 e 26 il batiscafo a strisce bianche e arancioni riemerge. È finita.
«Sono stati gli stessi marinai ad aprire il portellone», rivela il comandante della Flotta del Pacifico, Viktor Fiodorov. «Stanno tutti bene, salvo qualche sintomo di raffreddamento, per i tre giorni trascorsi al freddo».
A sera i sette sbarcano nel porto di Petropavlovsk, un giornalista chiede a Milashevsky se almeno per un attimo ha temuto che i soccorritori russi non riuscissero a salvarlo. «Certo che no, sapevo che sarebbero arrivati», risponde lui. In quel momento la moglie Yelena lo sta guardano alla tv.

Balla di gioia, stingendo a sé le figlie, due splendide gemelle bionde di 23 mesi.

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