Tutti gli uomini del presidente vanno in Lucania

Il 17 novembre del 1902 comincia il suo viaggio ufficiale - dodici giorni, fra treno e mezzi più scomodi - alla scoperta della Basilicata il settantaseienne capo del governo di Roma, Giuseppe Zanardelli. Con lui, un folto séguito che legittima il titolo del romanzo di Giuseppe Lupo, La carovana Zanardelli (Marsilio, pagg. 217, euro 16,50). Trasferitosi ragazzo di Lucania in Lombardia, Lupo ci dà oggi il terzo elemento di un trittico inaugurato nel 2000 con L’americano di Celenne e proseguito nel 2004 con Ballo ad Agropinto.
La sua Basilicata si bilancia tra miserie e genialità, fatalismi e stravaganze di personaggi ora esistiti realmente, ora frutto di pura fantasia: sfondi storici, l’età fra le due guerre o dell’ultimo dopoguerra; temi ineludibili, l’emigrazione e i rimpatri, le chimere di uno sviluppo economico-sociale nel quadro, auspicato e sempre disatteso, di una redenzione complessiva. Ciò potrebbe far pensare all’ennesima prova di una letteratura di denuncia, ch’è invece totalmente estranea al gusto e alle intenzioni di Lupo: sempre appassionato, sì, di «carovane» ovvero di comunità sulle quali è lecito il giudizio d’insieme, e tuttavia specialmente felice nel cogliere le eccezioni e i sogni individuali, il bizzarro e l’imprevedibile dei rapporti umani.
Scandendo la sua prosa leggera e fluida in paragrafi studiatamente brevi, Lupo unisce l’esperienza del frequentatore di archivi (di cose a cui sa restituire la «modernità» originaria, si tratti di un capo d’abbigliamento o di una pistola, di un veicolo o di una canzone in voga) a una freschezza di immaginazione perfino spavalda: ed è come se sulla pagina le verità del possibile, della storia eventuale, si levassero a fronteggiare i fatti quali sono registrati nei documenti che Lupo utilizza.
Insomma, se nel settembre 1902 il viaggio del vecchio Zanardelli e della sua «carovana» ci fu effettivamente (e il romanzo ce ne fornisce sùbito, su una piantina d’epoca, il percorso da Lagonegro a Potenza), e se la storia presta alla letteratura l’anarchico Passanante e l’ingegnere Thaon di Revel, i deputati lucani e Giustino Fortunato, decine di altri caratteri partorisce la fantasia del narratore. Mentre accompagna di tappa in tappa, senza risparmio di particolari, la faticosa trasferta del vecchio premier, ordisce una più libera tela: al centro si fa man mano strada il sospetto che quel trionfale viaggio abbia a culminare in un attentato a Zanardelli. È un sospetto che trova argomenti e sponda in più di un personaggio, e i principali indiziati in uno strano terzetto forestiero in cui spicca una splendida, compiacente inglesina.
Molti rami della vicenda paiono accreditare la concretezza del complotto, se non le sue precise motivazioni; ma nessuno infine sparerà al presidente, che nel romanzo procede tra sogni erotici, cortesie protocollari e oscuri malesseri. Ora documentate ora inventate, memorabili restano le sue frasi. L’ultima sintetizza: «Ce ne stiamo andando con la sensazione di aver visto una terra che non esiste». La «terra che non esiste», la spettrale e scontenta Lucania, a conoscer la quale si è mossa la Carovana del Potere, è forse il cuore autentico e neppur tanto segreto del libro. Nondimeno è significativo - lo si saprà in conclusione - che gli occhi attraverso i quali il lettore ha visto snodarsi la trama del libro sono quelli di uno che in Lucania è giunto da fuori.

Come Zanardelli: il quale, scampato al complotto inesistente, rimane però in balìa di pessimi presagi. Nella sua villa in quel di Brescia, morirà sedici mesi dopo il ritorno dalla Basilicata: che nella circostanza, per gratitudine, espone le bandiere a mezz’asta.

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