Tutto già visto nel logoro giallo di James Gray

da Cannes

Classe 1969, James Gray è uno dei rari registi americani ad aver tale considerazione per il cinema anni Settanta da rifiutare gli effetti speciali, in favore di un rigore classico. Nel 1994 Little Odessa ciò gli è valso il leone d'argento alla Mostra di Venezia (e la coppa Volpi a Vanessa Redgrave); nel 2000 il suo The Yards è stato presentato al Festival di Cannes; ora firma We Own the Night («La notte ci appartiene», motto della polizia di New York), presentato ieri in concorso al Festival di Cannes.
I tre film di Gray si somigliano: sono sempre gialli a sfondo familiare, con risvolti di tradimento, che guardano al primo Scorsese (Mean Streets) e al Coppola dei vari Padrino. Nonostante la cadenza non proprio assillante con la quale escono i suoi film, o Gray non trova chi gli finanzi storie diverse o non ha altri interessi nella vita che la malavita. Così con We Own the Night si ha di nuovo la sensazione di déjà vu. Che si aveva con The Yards rispetto a Little Odessa. Ma è normale: la serialità festivaliera esiste tanto quanto quella commerciale. Stavolta la vicenda è ambientata nel 1988. Il direttore di una discoteca (Joaquin Phoenix) ha come cliente lo spacciatore russo (Alex Veadov) che la polizia sorveglia.

E a capeggiare gli agenti sono il padre (Robert Duvall) e il fratello (Mark Walhberg) del discotecaro, d'origine russa...
Nulla è meno che professionale in We Own the Night, ma i personaggi sono logori. Uno l'incarna Tony Musante, con severa dignità.

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