Irrilevante. Non cè modo migliore di capire il mondo se non quello di vederlo con gli occhi di chi lo guarda. Ed è così che per la Cina la questione del Tibet è «irrilevante», un pulviscolo negli occhi di una nazione che ha voluto i suoi Giochi ed ora vuole giocare. Così adesso lOccidente si interroga sul da farsi, boicottare o no una grande occasione mondiale diventata una manifestazione di celodurismo? Dal punto di vista sportivo la risposta è ovviamente no, data da chi ha lavorato duro per esserci e da chi guarda con tristezza il lento e dolente cammino di una fiaccola olimpica non più simbolo di pace, ma di guerra seppur proprio in nome di quella pace violata. La risposta è no perché quando - nel 2001 - si disse che assegnare i Giochi a Pechino era la grande occasione per regalare un futuro di democrazia, già si sapeva che quel dogma che piace a noi occidentali era loccasione per esportare nei cinque cerchi a mandorla un business che faceva gola a molti. Così - come per Tania Cagnotto, come per Stefano Baldini, come per i tanti atleti che questa Olimpiade se la sono sudata e che oggi servono come scudi umani alla nostra indignazione - dire no, noi non ci saremo, serve solo a far gonfiare il petto a chi laggiù ritiene irrilevante una questione che per noi è dignità. La questione del Tibet, insomma, che non nasce certo oggi e che esisteva anche 7 anni fa.
Questo però non deve diventare un alibi per la Cina, un asso nella manica di una potenza mondiale pronta al ricatto degli affari non appena si alza una voce critica. Le regole, le censure e gli obblighi che il governo di Pechino pretende da chi parteciperà alla sua gloria sono uningiustizia che non può passare sotto silenzio e che deve - quella sì - essere boicottata. Come, allora?
Non si può e non si deve impedire agli atleti di vivere il loro momento, non si può e non si deve pensare che basti non mandare un premier, ministro o un sottosegretario in Cina per lavarsi la coscienza. Ma si può e si deve colpire lorgoglio di chi strumentalizza le Olimpiadi per dare al mondo unimmagine di democrazia in un Paese dove i ricchi sempre più ricchi sono la facciata per nascondere povertà, ingiustizie e crudeltà sotto il tappeto. E dunque si può e si deve colpire là dove il celodurismo di Pechino avrà la massima espressione: la cerimonia dapertura. Si spenga la tv, insomma, non si mandino in onda nel mondo le immagini di una celebrazione di un Paese che non esiste, di una potenza che in sette anni ha usato la parola democrazia come una ruspa per radere al suolo interi quartieri e cancellare vite in nome della Gloria olimpica.
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