Cultura e Spettacoli

Dalla tv al computer tutte le profezie di Kubrick

Il regista apprezzava pubblicità e tecnologia. Mentre Pasolini denigrava il piccolo schermo, Stanley si appassionava agli spot. Nell’edizione celebrativa di Arancia meccanica, il ritratto di un uomo che viveva nel futuro

Dalla tv al computer tutte le profezie di Kubrick

29 maggio 1985. Prima della finale di coppa dei campioni tra Liverpool e Juventus allo stadio Heysel di Bruxelles si scatena l’inferno. 39 morti e oltre 600 feriti. Una guerra per una partita di calcio. A combatterla è l’esercito irregolare degli hooligans. Le immagini della mattanza riprendono pance gonfie di birra, canottiere sbrindellate, carni bianche rosolate dal sole primaverile e colorate di tatuaggi, teste rasate. Violenza bruta. Cieca. Inspiegabile. Gli hooligans sono i fratelli lazzaroni e pezzenti dei «drughi» di Kubrick.

Esattamente quarant’anni fa conoscemmo i «drughi» grazie ad un capolavoro del regista: Arancia meccanica. L’idea era venuta allo scrittore inglese Anthony Burgess, che in A Clockwork Orange nel 1962 aveva tracciato un diagramma oscuro e inquietante sulla futura Inghilterra posseduta e squarciata dalla violenza. Alex, il giovane protagonista, ha un divertimento: compiere atti violenti e crudeli, privi di motivazione. È un un sottoprodotto dell’alienazione sociale? Neppure per sogno. Alex è bello, parla bene, adora la musica classica. Stanley Kubrick aveva da due anni sull’ordinatissimo scaffale dello studio una copia del libro di Burgess. Assorbito totalmente dal lavoro per 2001: Odissea nello spazio, non aveva trovato il tempo neppure di aprirlo. Uscito il film nel 1968 inizia a leggerlo. Sarà il soggetto del suo nono lungometraggio. In occasione del quarantesimo anniversario di Arancia meccanica la Warner Bros Home Video edita una versione del film in Blu-Ray, splendida nel suono digitale (la musica classica scelta da Kubrick è un capolavoro nel capolavoro), arricchita di numerosi extra, come Stanley Kubrick. A Life in Picture di Jan Harlan, essenziale introduzione all’opera cinematografica del regista nato e cresciuto nel Bronx, morto settantenne in una tranquilla residenza a poca distanza da Londra, scelta per lavorare in pace, tra animali, famigliari, amici, la nota scacchiera e il meno noto tavolo da ping-pong.

Con il trascorrere del tempo il «culto kubrickiano» cresce di intensità. Saggi, pubblicazioni, costante riedizione dei suoi film, mostre di varia importanza (l’ultima, notevole, è a Parigi, Stanley Kubrick, L’exposition, presso la Cinémathèque Française, visitabile fino al 31 luglio). Come spiegare un interesse così profondo e intenso? Basta vedere Arancia meccanica. Kubrick aveva compreso anzitempo alcuni flussi profondi della società contemporanea. Due su tutti: l’esplosione della violenza e il narcisismo. Kubrick non aveva nessun vezzo tipico dell’autore americano (nonostante fosse il più grande di tutti). Non aveva la competenza cinefila di Martin Scorsese, né credeva nell’impegno sinistrorso di Oliver Stone. Da ragazzo aveva studiato poco. Se la cavava meglio con gli scacchi che con i libri. Poi prese in mano una macchina fotografica. E divenne Stanley Kubrick. Come ricorda divertito (ma non troppo) il collega Sidney Pollack, attore in Eyes Wide Shut, Kubrick era affascinato dalla pubblicità del Nescafé. A lui ci voleva un tempo infinito per raccontare una storia: alla pubblicità pochi secondi. Osservando le riprese di Arancia meccanica, sontuose, eleganti, barocche, magnifiche quando rallentate, si stenta a credere che il loro autore non avesse paura della televisione, anzi, tutt’altro. Se Pasolini, in vasta e allegra compagnia, denunciava il potere perverso e corruttore del piccolo schermo, Kubrick invece era convinto delle grandi possibilità offerte dal nuovo mezzo. Per non parlare del computer. Da subito ne aveva intuito l’importanza. Così come aveva capito che l’intelligenza artificiale sarebbe stata la compagna di strada del futuro artista delle immagini.

In privato, come ricorda con finta ingenuità l’attrice Nicole Kidman, Kubrick riponeva scarsa considerazione del genere umano. I suoi film, almeno da 2001: Odissea nello spazio, confermano questa impressione. Alex (Malcolm McDowell) capo dei «drughi» di Arancia meccanica; Redmond Barry (Ryan O’Neal) arrivista e aristocratico mancato in Barry Lyndon; Jack Torrance (Jack Nicholson) scrittore fallito scivolato nella follia in Shining; «Joker» (Matthew Modine) marine pacifista nell’inferno del Vietnam in Full Metal Jacket; Bill Harford (Tom Cruise) freddo dottore di successo tormentato dal sesso in Eyes Wide Shut.

Sono tutti quanti personaggi dominati da una distruttiva e auto-distruttiva volontà di potenza.

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