IN TV IL FAST FOOD DELLA RISATA

C’è un modo indicativo per rendersi conto della crisi del genere comico, almeno sotto il profilo televisivo: si osserva la sfilata dei cabarettisti che si accavallano sui numerosi palcoscenici approntati per dare loro spazio (come in Colorado Café, martedì su Italia Uno, ore 21) e si nota come diminuiscano i monologanti e aumentino non solo i comici «in coppia» ma anche chi cerca la fortuna con la formula del trio o del quartetto. Non è un buon segno, perché il comico che si presenta da solo è in qualche modo costretto a costruirsi un copione quanto più possibile valido, ha il dovere di lavorare bene o male sul linguaggio, a inventarsi una capacità narrativa e affabulatoria che pretende un minimo di ricerca, di studio, di paziente artigianato. Le coppie, il trio, il quartetto, a meno che non si chiamino Cochi e Renato o Aldo Giovanni e Giacomo (e i comici dell'ultima generazione, purtroppo, non si chiamano così) danno invece l'idea di essersi messi insieme per farsi coraggio, per essere l'uno la stampella dell'altro, per coprire le magagne individuali e l'handicap di non avere testi adeguati. Si arrangiano facendo un po' di casino, vociando giocosamente e disordinatamente, rimbalzandosi facezie che non lasciano quasi mai il segno. Anche questa stagione televisiva che va a concludersi non ha offerto sul piano comico troppi motivi per essere allegri, a cominciare dal calo di qualità di Zelig per finire alla sostanziale stagnazione di Colorado Café. A rendere tangibile lo stato di crisi del genere comico è innanzitutto la mancanza di autentiche rivelazioni, di artisti della risata in grado di imporsi con una spiccata personalità. Tanti i chiamati, sui fin troppi palcoscenici televisivi destinati ai comici, ma pochissimi gli eletti, quelli in grado di essere ricordati dal pubblico in mezzo a questa vorticosa sfilata di «avanti il prossimo» che trasforma le trasmissioni comiche in un fast food della risata. A giustificazione dei comici delle ultime generazioni c'è, da un lato, l'obiettiva constatazione di quanto sia stritolante un meccanismo televisivo che, anche là dove si appalesi un po' di talento, lo centrifuga e poi lo spolpa velocemente, senza dargli il tempo di crescere e affinarsi.

Ma c'è anche la sensazione che i comici vengano abbandonati a loro stessi e al compito di «riempispazi» senza che si crei, quasi mai, quel tipo di fertile scambio di esperienze, di trasmissione del «sapere comico» tra generazioni anagraficamente trasversali che aveva fatto maturare in passato schiere di brillanti cabarettisti. In questo senso, la latitanza di Diego Abatantuono da un programma come Colorado Café al quale ha dato inizialmente vita è apparsa come qualcosa di più di un semplice esempio di disimpegno.

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