"In tv torno al nuoto che lasciai per una virata sbagliata"

Intervista a Raul Bova: "Nella serie ricordo anche il mio passato da atleta. Il successo? Quando lo perdi tutti spariscono e ti lasciano solo"

"In tv torno al nuoto che lasciai per una virata sbagliata"

Dicono che il sapore del cloro non te lo scordi più. Anche se passano vent’anni, e dopo essere stato un nuotatore sei diventato un attore famoso. Raoul Bova si è rituffato in acqua. È tornato a galla il passato ma si è pure divertito. «È stata una scusa per allenarmi di nuovo». La scusa è il film Come un delfino (due puntate in onda questa sera e domani su Canale5), storia di un campione che abbandona il nuoto ma ritrova se stesso.
Si è immedesimato?
«Ho riscoperto emozioni e sensazioni di quando gareggiavo. Ma anche i momenti in cui mi sentivo perso».
Com’era Bova da nuotatore?
«Ho sfogliato il mio diario dell’epoca: a ogni gara mi calcolavo tutti i passaggi, era una passione totale. Ho rivissuto le ansie delle gare, dei tempi, degli allenamenti».
Non lo ricorda con leggerezza...
«La gara per me era motivo d’ansia. E anche per il protagonista del film è così: solo quando incontra i ragazzi della comunità capisce che deve nuotare per sé, per superare i propri limiti, non per conquistarsi l’affetto degli altri».
La viveva così?
«Probabilmente un po’ sì. Ora finalmente, a 39 anni, sono riuscito a vivere lo sport nel modo migliore, senza aspettative».
È vero che lo spunto del film è la vicenda di Fioravanti?

«Sì, un grande campione costretto a lasciare. Mi sono sempre chiesto: e dopo? Come cambia la tua vita?»
Come cambia?
«Lì per lì è molto difficile, ma poi cominci ad accettare l’esistenza nel bene e nel male. Scopri chi ti è amico e chi no. Ma soprattutto capisci che se vinci non sei Dio. Sei sempre uguale».
Vale anche per un attore?
«Ho smesso di nuotare a 18 anni. Ho perso tutti, anche gli amici. Quando vinci tutti ti adulano, quando non sei più quello di prima, all’improvviso spariscono tutti».
Non se lo dimentica?
«Ho capito subito che quel successo che avevo perso nel nuoto e che cominciavo ad avere nel mondo del cinema, era sempre lo stesso: qualcosa che poteva essere passeggero. Mi preparavo allora e mi preparo anche oggi a perderlo».
Avrebbe preferito diventare un campione?
«No, sono stato fortunato a nuotare e poi a trovare un’altra strada. È stata tutta colpa di una virata sbagliata, da quel momento i risultati e la concentrazione non sono più stati gli stessi. Ma quella virata mi ha cambiato la vita».
Ha cominciato con una parte in «Mutande pazze», film firmato da Roberto D’Agostino...
«Una parte piccolina».
Che fa, rinnega?
«Per carità. Anzi, ricordo tutto con piacere. Però il primo ruolo vero fu nel film sui fratelli Abbagnale».
Ancora sport, e poi tanti film in divisa. Come mai?
«Ci sono tendenze nella produzione, certo. Ma devo dire che quei personaggi me li sentivo vicini. Mio zio era generale dei carabinieri, una certa mentalità l’ho sempre avuta. E mio padre era assolutamente onesto: ha sempre pagato il canone tv, non ha mai sgarrato su una tassa».
È intransigente?
«Sì, ho il senso del dovere. Ma credo che sia più importante l’esempio, il vivere onestamente, che salire in cattedra».
Non è che è un po’ perfettino?
«Ma io non mi sento perfetto, ho duemila difetti, devo crescere ancora moltissimo. Però credo che quando hai tanto dalla vita, come me, devi condividere con gli altri. Odio chi chiude gli occhi e finge di non sentire».
Bello e buono.
«Basta con la mentalità che devi essere figo per forza. Esistono valori importanti, se ne parlo sembro perfettino. Ma meglio perfettino che furbettino».
Sdrammatizziamo. Uno dei duemila difetti?
«Colpito. Non so sdrammatizzare. Io mi accaloro. Gli amici mi dicono: basta prenderti così sul serio. Ma io mi commuovo».
Altri difetti?
«Sono disordinato. E un po’ permaloso».
Un po’?
«Un po’ tanto. Me la prendo anche per una parola detta male. Metto il muso».
E quanto dura?
«Eh he. Dipende... anche un paio di giorni».
In agosto compirà quarant’anni. Le fa effetto?
«È un numero diverso, è come ricominciare da capo. Però io credo che contiamo troppe cose, gli anni non dovrebbero neanche esistere».
Sta dicendo che non festeggerà?
«No».
Bugiardo.
«Una cena con amici. I regali mi imbarazzano».
E da piccolo come festeggiava, in piena estate?
«Con gli amici in vacanza. Papà mi preparava la zuppa inglese, era lui lo chef dei dolci».


I suoi figli guardano i suoi film?
«Sì, sì. Odiano le scene in cui rimango ferito, o quelle in cui bacio un’altra donna».
Sono gelosi?
«Sì, ma poi mia moglie li tranquillizza. Alla fine è meno gelosa lei di loro».

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