Tyson torna sul ring per prendere a pugni il destino

Sulla soglia dei 40 anni (spesi male), l’ex Iron man sfida l’irlandese McBride. E dice: «Sono sempre io l’uomo più cattivo del pianeta»

Riccardo Signori

Resta il miglior affare per la boxe. Lo scrivono i giornali, lo dice la gente. L’altro giorno Mike Tyson è andato in visita al Walter Reed medical center di Washington, lo hanno portato nel padiglione dei reduci dall’Irak, fra gente con gambe amputate, paraplegici, ciechi e altri traumatizzati, eppoi fra i ragazzi del ghetto nero. Ed è bastato per dare un sollievo, un momento d’eccitazione, provocare un modo di appassionarsi. Ha vinto ancora lui. Passa, guarda, stringe mani e lascia il brivido. Nonostante quell’aria da reduce di una storia sportiva e di molte storie di vita, cadute e sempre più lontane risalite, nonostante la fedina penale da stupratore.
E così sarà domani notte, sul ring del Mci center di Washington, quando affronterà Kevin McBride, armadione irlandese che si fa chiamare il Colosso di Clones, dall’alto dei suoi due metri per 120 kg di peso. Uno di quei tipi che, per stazza e altezza, non sono mai piaciuti all’ex campione del mondo dei massimi. Un tempo sarebbero bastati due sventoloni e una ferocia forsennata per sbarazzarsene. Stavolta, invece, Tyson riproporrà l’ennesima sfida al destino. Il 30 giugno gli anni saranno 39, sono lontani i tempi in cui Ricky Giachetti, l’ex manager di Larry Holmes, disse: «Questo ragazzo non arriverà alla mezza età. Sarà felice se arriverà ai trent’anni, ci sarà sempre qualcuno pronto a fargli la pelle. Lui è come una bomba in attesa di esplodere». Invece Tyson sta per acquartierarsi sulla soglia dei quarant’anni, vissuti da folle re della tribù del ring, spesi male, interpretati peggio. Però c’è ancora. Ed è ancora lì pronto a mostrar lo sguardo cattivo dall’angolo del ring. Per dire: ti picchio. Convinto di non essere più l’uomo di ferro, ma di non aver perso il fascino del cattivo spaccaossa. Lo ha raccontato col solito stile, voce sottile e impudenza totale: «Sono un’autentica icona, se uno non ha mai sentito parlare di me vuol dire che arriva da un altro pianeta. Sono sempre io l’uomo più cattivo del pianeta, quello al quale tutti chiedono ancora di azzannare un avversario per le orecchie o di rompergli un braccio». Certe interviste pubblicate in Italia, confermano: se l’intervistatrice è donna, la morbosità (non di Tyson) è totale.
Oggi Tyson non è più l’uomo dal pugno che devasta, undici mesi fa è saltato per aria davanti ai colpi di Danny Williams, un cenerentolo della categoria. «Colpa di quel piede rotto durante il match», ha ricordato. E tanto disastro lo ha mandato in depressione. Ma ci riprova: lo chiedono il circo malandato della boxe, l’orgoglio e le sue finanze. Incasserà 5 milioni di dollari, tre dei quali andranno al fisco con il quale ha ancora un debito di 30 milioni. Cercherà di ripagare match dopo match, ecco perché Tyson non molla. Non si sente più invincibile, ma non ancora un vinto. «Tyson, a 20 anni, era un fighter invincibile, ma non una brava persona. Oggi, a quasi 39 anni, Tyson è una persona gradevole e ancora un grande fighter.

Tyson è un uomo cambiato». Però lo è anche il pugile. Sennò McBride, 31 anni, e un curriculum da sparring partner, non si sarebbe permesso di dire: «Quando lo pesterò penserà che lo stia prendendo a pugni tutta l’Irlanda».

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