Uccide moglie e figlio, poi muore d’infarto

Alessia Marani

da Roma

Una famiglia esasperata, l’ennesimo Natale «difficile» fatto di liti furibonde e pianti disperati alle porte. Lui, Domenico Tartaglia, tassista romano in pensione di 65 anni, non ce l’ha fatta più: ha afferrato un oggetto contundente e affilato, anche molto pesante, una sorta di mannaia, e l’ha scagliato con ferocia inaudita contro la moglie, Patrizia Valentini, casalinga di 59 anni, quindi contro il figlio, Fabio, 28enne, affetto da una forte schizofrenia. Più colpi sferrati come un ossesso, mentre entrambi dormivano, forse già storditi o avvelenati, sdraiati ciascuno sul letto della propria stanza. La donna l’ha persino decapitata e la testa ancora non si trova, gettata chissà dove, magari insieme all’«arma». Il figlio ha il cranio fracassato.
Quando i vigili del fuoco ieri pomeriggio intorno alle cinque hanno sfondato le finestre al piano rialzato al civico 153 di via dell’Acquedotto Alessandrino, nel cuore di Tor Pignattara, periferia Est della Capitale, dove la famiglia Tartaglia risiedeva da sempre, di fronte si sono ritrovati il duplice agghiacciante scenario. Sia Patrizia che Fabio indossavano i pigiami, avvolti da lenzuola e coperte come se niente fosse. Stando a un primo riscontro del medico legale, Dino Tancredi, il decesso di Fabio e Patrizia risalirebbe alla notte tra mercoledì e giovedì. Un omicidio orribile di cui si sarebbe, dunque, macchiato Domenico trovato anch’egli morto nella sua auto a un paio di chilometri da casa, nei pressi dell’Arco di Travertino, ma all’una di domenica pomeriggio. La morte dell’ex tassinaro viene subito verbalizzata come «da infarto». Nella macchina dell’uomo, descritto dai vicini come riservato e gentile, nessun documento. Quando i militari della stazione bussano alla porta del suo appartamento nessuno apre. Anche della figlia maggiore, da tempo in rotta con il resto dei familiari, e trasferita in Veneto, non c’è traccia. La macabra scoperta verrà fatta solo ieri quando alcuni vicini allarmati per quello che sembra essere un forte odore di gas provenire dall’abitazione dei Tartaglia, in realtà il tanfo per i corpi ormai in via di putrefazione, chiamano il 115. E ai carabinieri del Nucleo Operativo di via In Selci non rimane che ricostruire il puzzle.
Intanto, l’autorità giudiziaria ha disposto l’autopsia sul cadavere di Domenico per capire se l’arresto cardiocircolatorio fosse da lui stato indotto con l’assunzione di farmaci o di un veleno nell’intento di suicidarsi. «Non posso ancora crederci - racconta M. V., una dirimpettaia -. Avevo visto Patrizia qualche giorno fa. Era stanca e disperata, mi diceva che voleva andare al collocamento per chiedere un sussidio economico per il figlio che, naturalmente, non lavorava». Fabio era da tempo in cura presso il Centro d’igiene mentale di zona, più volte era stato ricoverato ma senza visibili miglioramenti.
Il suo stato era divenuto col passare degli anni un continuo motivo di litigio tra Domenico e Patrizia, ognuno pronto a scaricare sull’altro la responsabilità di non capire il ragazzo. «C’erano liti furiose - dice un altro vicino -. Li sentivamo spesso urlare. Bisticciavano anche per soldi, la moglie diceva che non bastavano mai e lui si sentiva a pezzi. Madre e figlio uscivano poco, andavano giusto a fare la spesa». Secondo alcuni conoscenti Patrizia, in particolare, aveva un carattere molto forte e deciso.

Indirizzato a lei Domenico ha lasciato l’ultimo messaggio, scritto in alcune righe su una paginetta di foglio di quaderno. «Tu sei malata, Fabio è depresso, non se ne può più», ha scritto lasciando trapelare il dramma di una situazione ormai insostenibile.

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