Uccidere se insultati vale uno sconto di pena

Uccidere dopo essere stati offesi vale un’attenuante. Cosi un operaio albanese che nell’autunno del 2008 massacrò il suo datore di lavoro in seguito ad un rimprovero dopo essere stato insultato dalla vittima- «sei una m...»-, otterrà uno sconto di pena -. Lo ha stabilito la Prima sezione penale della Cassazione, accogliendo il ricorso della difesa di Hamit L. che l’11 novembre di quattro anni fa, a Cividate Camuno, in Valcamonica, uccise a colpi di spranga Maurizio Ricchini, titolare dell’azienda per cui lavorava, una fabbrica specializzata nei trattamenti termici dei metalli.
In appello, l’operaio - assunto in nero, come rileva la sentenza numero 6796 in «condizioni di semisfruttamento», pagato sei euro all’ora, - era stato condannato dalla Corte d’assise d’appello di Brescia a 16 anni di reclusione con il riconoscimento dell’aggravante dei futili motivi per avere ammazzato a sprangate il datore di lavoro, quarantaquattrenne titolare dellazienda Ttr. Tutto era nato durante un litigio originato dal rimprovero che l’imprenditore aveva rivolto al dipendente. Esacerbato per il trattamento umiliante,- così aveva sostenuto la sua difesa in tribunale- Hamit, afferrata una spranga di ferro, aveva colpito Ricchini. Poi era fuggito. Ma per poco: i carabinieri erano riusciti a bloccarlo tre ore più tardi in auto.
In aula, la difesa ammise la reazione spropositata, invocando pero le attenuanti poiché la furia omicida sarebbe stata scatenata dalle vessazioni cui l’imputato era da tempo sottoposto. Gli insulti di quella tragica mattina, insomma sarebbero stati la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Sostenendo che quel delitto fosse stato dettato «dall’esacerbato sentimento dell’onore». Insomma un delitto di impeto compiuto da un incensurato, una persona dedita al lavoro.


La Cassazione adesso ha accolto il ricorso e, annullando senza rinvio la sentenza ha osservato che l’aggravante in questione «sussiste quando la determinazione criminosa sia stata causata da uno stimolo esterno così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato, da apparire secondo il comune modo di sentire, assolutamente insufficiente a provocare l’azione criminosa, tanto da potersi considerare, più che una causa deteminante dell’evento, un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale». Sarà ora la Corte d’assise d’appello di Brescia a rideterminare, al ribasso, la pena inflitta all’albanese. contrariamente alle richiesta della pubblica accusa di piazza Cavour che chiedeva la conferma della condanna.

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