Uccidersi perché si è stati bocciati. Un ragazzino di sedici anni, di Sassari, si è tolto la vita impiccandosi. Una ragazza di diciotto, di Frosinone, non ammessa agli esami di maturità ha mandato giù una manciata di pillole ed è stata salvata per miracolo. Il ragazzino, trovato appeso dalla nonna, aveva lasciato un biglietto in cui spiegava il motivo che lo ha spinto a quel gesto disperato. La scuola, appunto.
Noi ci interessiamo dei giovani in casi estremi, perché, inutile nasconderlo, siamo condizionati dal principio elementare del commento di cronaca: la normalità non interessa. Enunciamo, quindi, casi in cui dei ragazzi ci scandalizzano per essere totalmente privi di valori, ma poi ci accorgiamo drammaticamente che proprio un eccesso di responsabilità porta a una tragedia. Nessun genitore intransigente, nessun insegnante severo, nessun compagno di classe sfrontato e provocatore potrebbero mai minimamente immaginare che un esito scolastico negativo abbia come conseguenza la morte. Ciò significa che si può essere dei colossali somari, ma nulla- un brutto voto, l’essere rimandato o bocciato - deve portare a un gesto estremo come il suicidio.
Eppure il pensiero del ragazzo che si è tolto la vita e della ragazza che ha tentato il suicidio, ha avuto la sua elaborazione in famiglia, a scuola, tra i compagni di classe. Appunto: giovani menefreghisti che si fanno un vanto di essere ignoranti secondo lo stupido e ipocrita modo di dire per il quale chi è primo a scuola è ultimo nella vita; e giovani sovraccaricati di una responsabilità che oltrepassa il più elementare buonsenso: giovani che non reggono l’umiliazione della sconfitta. Oggi, drammaticamente, ci si accorge che questi ultimi andavano protetti, che la loro fragile sensibilità doveva essere rispettata. Da chi? Si ritorna sempre all’interno di quel triangolo in cui si costruisce la formazione di un giovane: famiglia, insegnanti, compagni. Tutti responsabili, sempre, nel bene e nel male. Ci sono famiglie benestanti, in cui padre e madre (soprattutto il padre) vivono in una realtà competitiva, sanno per esperienza che il lavoro pretende una buona dose di aggressività per non lasciarsi sopraffare.
E chiedono ai figli la loro stessa determinazione e forza nell’affrontare la vita che, per un ragazzo, è la scuola. Oppure ci sono genitori di origini umili, che hanno investito sui figli i propri desideri di riscatto e di emancipazione da situazioni economiche precarie, e vogliono i loro ragazzi bravi a scuola, preparati per ottenere ottime possibilità professionali. Talvolta gli insegnanti, in assoluta buonafede, sollecitano gli allievi a studiare sempre con il massimo impegno, soprattutto in vista degli esami e dello scrutinio finale, come se fossero mete decisive nella vita di un giovane. Non vogliono che nessuno rimanga indietro e i più deboli nel profitto vengono spronati a rendere di più, anche oltre le loro umane possibilità. E poi ci sono i compagni di classe, competitivi e spregiudicati, offensivi e irridenti verso chi è fragile, verso chi non ha un carattere forte.
Non sarebbe un caso se si mettessero a prendere in giro il somaro di turno ed, eventualmente, anche ad emarginarlo dal loro gruppo. All’interno di questo triangolo - famiglia, insegnanti, compagni - può entrare in crisi l’equilibrio di un giovane fino a fargli perdere il lume della ragione e a non lasciargli comprendere il giusto valore delle situazioni.
Ecco, allora, che una bocciatura diventa una tragedia, a cui si replica con un gesto tragico. Tutti responsabili i componenti di quel triangolo, ma è indiscutibile che la famiglia, più degli altri, deve saper ascoltare i propri figli e aiutarli quando non ce la fanno più.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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