Senza troppe sottigliezze poniamoci questa domanda sulla vicenda della povera Sara: è più colpevole la televisione o la famiglia che ha accettato di andare in massa in tv? Mi riferisco alla bolgia di commenti accusatori contro la televisione del dolore,all’idea che una tragedia venga sfruttata per fare trasmissioni di alto ascolto. Andiamo con ordine e dall’inizio. Sara scompare, non si hanno notizie, c’è una trasmissione di servizio che da anni si occupa delle persone di cui è si perso traccia. La famiglia di Sara, la madre in particolare, si rivolge a Chi l’ha visto. Il programma alcune volte riesce a risolvere casi di cui gli inquirenti non sapevano che pesci prendere. Niente di strano, allora, che la famiglia Scazzi tenti quella strada. Accade, però, quello che tutti sanno: in diretta, durante la trasmissione, viene data alla madrela notizia dell’assassinio della figlia. Partono i primi strali contro una televisione che non rispetta il dolore, che ne fa spettacolo, che lo usa per biechi interessi di ascolto. Non condivido l’accusa perché la televisione è uno strumento straordinario quando documenta la realtà, quando la realtà entra dentro la televisione. Per esempio, si dovevano forse spegnere le telecamere che riprendevano la tragedia newyorchese delle Torri gemelle per rispetto dei tremila morti che bruciavano vivi nei grattacieli? Nessuno aveva il diritto di non farci vedere quella tragedia che dalla televisione passava nelle nostre case. Ma noi siamo affetti dalla sindrome dei reality show e confondiamo la realtàspettacolo, costruita abilmente da autori senza scrupoli, con la realtà-vera. Risultato: alzata di scudi dell’italica ipocrisia contro Chi l’ha visto , confondendo i due piani: indecente l’ Isola dei famosi ,i indecente il programma della Sciarelli. Ma la conseguenza di questa confusione non è soltanto l’aver messo sullo stesso piano un reality show e la realtà vera che entra in televisione, ma tutto ciò che è accaduto dopo l’annuncio della morte di Sara. E così torniamo alla domanda iniziale. Nessuno è obbligato ad andare in tv per parlare dei fatti propri. Quando poi le questioni personali riguardano episodi drammatici, la pietà e un minimo di buon gusto suggeriscono di vivere appartati, in segretezza, il dolore. E invece accade esattamente l’opposto. Sembra che aifamiliari di Sara la preoccupazione maggiore sia di non farsi rubare dal congiunto il palcoscenico televisivo. Perfino i protagonisti marginali della famiglia sono scatenati in ogni programma a raccontare se stessi, a suggerire il proprio punto di vista, a puntualizzare aspetti psicologici dei propri familiari. Capita perfino una coincidenza straordinaria che, a pensar male, almeno per questa volta forse si sbaglierebbe e si farebbe del male. Il fratello di Sara è presente in una trasmissione proprio quando viene annunciato che la cugina Sabrina è stata arrestata per complicità con il padre nella morte di Sara. In diretta era stata data alla madre di Sara, qualche giorno prima, la notizia della morte della figlia. Soltanto coincidenze, certo. Però la frequenza così ossessiva nei programmi televisivi della famiglia Scazzi e di quella dell’assassino ha qualcosa di maniacale. Come se ciascuno di loro si contendesse la funzione di corifeo televisivo del dolore. Ci sono due frasi che ho letto nelle ultime dichiarazioni di Sabrina e della mamma di Sara. La prima, durante l’interrogatorio,avrebbe chiestoche qualcuno le riferisse cosa stessero dicendo di lei i telegiornali. Non importa cosa stessero pensando di lei gli inquirenti, ma la televisione. La seconda, la madre, per sostenere che la nipote non avrebbe mai confessato e che comunque la sua posizione sarebbe sempre rimasta avvolta nel mistero, la paragona alla Franzoni, quella dell’omicidio di Cogne, cioè la donna che prima ancora di essere l’assassina del figlio, è oggi un’icona televisiva per eccellenza. A buon diritto si può sostenere che molte trasmissioni sono cinicamente colpevoli di inzuppare il pane in questa famiglia per alzare gli ascolti.
Ma, forse, più ragionevolmente si potrebbe sostenere che la televisione ha mostrato in modo impietoso una realtà non meno drammatica della morte di Sara, delle Torri gemelle, dei combattimenti in Afghanistan. La realtà di una famiglia ossessionata dal protagonismo televisivo, disposta a rinunciare all’interiorità del dolore, al riserbo, alla pietà.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.